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LE LIBERTÀ ILLUSORIE
CONDIZIONAMENTO E COERCIZIONE IN FAMIGLIAL’EFFETTO SULLO SVILUPPO DEI MINORI
Intervento del Dott. S. Pollina al convegno
"Menti in ostaggio"
Tecniche di persuasione e condizionamento mentale nella società odierna
Firenze, 24 Maggio 2003.
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C’è una grande differenza tra il crescere all’interno di una famiglia appartenente ad una religione tradizionale o di quella che ha aderito ad una setta. Nel primo caso la religione, la tradizione culturale, il modus vivendi sono quasi sempre in sintonia con la società che ci circonda e con il tradizionale approccio ai valori che ne costituiscono la cultura, la storia, i valori condivisi; nel secondo, non soltanto si è costretti a credere in qualcosa che spesso è in dissonanza con tutto ciò, ma, ed è questo l’aspetto più preoccupante, si deve agire concretamente per confermare quotidianamente la sintonia con l’ortodossia del movimento e, molto spesso, se non sempre, questi atti sono in assoluto contrasto con il comune sentire del mondo esterno [possiamo parlare di “alieni”. Vecchio film «L’invasione degli ultra corpi»].
La variegata composizione dei molteplici culti esistenti nel nostro paese non ci consente di esprimere valutazioni su ciascuno di loro, e nemmeno di tratteggiarne, anche sommariamente, le caratteristiche che più li connotano. Ma, in estrema sintesi, possiamo ricordare per esempio, il gruppo di Scientology, gli Hare Krishna, i Bambini di Dio, i testimoni di Geova, la Chiesa dell’Unificazione del reverendo Moon, il Falun Gong, i Raeliani (con le loro tecniche di clonazione degli esseri umani), Aum Shinri-kyo (attentato alla metropolitana di Tokyo con il gas nervino, 10 morti e 5.000 feriti).
In alcuni di questi culti predominano delle pratiche che prevedono particolari scelte alimentari, spesso nocive dal punto di vista della salute, particolarmente quando si tratta di persone in età di sviluppo come i bambini. Vi è, molto spesso, un approccio assolutamente singolare nei confronti delle cure mediche, dalle vaccinazioni alle emotrasfusioni [1], che sono spesso assurte agli onori della cronaca per eventi tragici. A volte riscontriamo vere e proprie tecniche di manipolazione mentale e di alterazione della personalità.
La realtà è che l’essere o il divenire membro di un culto, una setta o comunque lo si voglia definire, è un’esperienza che imprime un marchio indelebile nella vita di chiunque la subisca. Quando poi tale esperienza ha luogo negli anni della formazione, sia fisica che intellettuale, in tal caso l’impronta costituisce un handicap che, lo si voglia ammettere oppure no, esercita la sua influenza per tutta la durata della vita della persona, e troppo spesso in senso negativo.
Ovviamente, vivendo in un paese che tutela le libertà dei cittadini, e fra queste quelle di più alto valore costituzionale sono certamente quelle che riguardano la tutela e la garanzia della libertà di pensiero e di espressione, e di praticare o di non praticare alcuna fede religiosa, noi non desideriamo che a nessuno degli abitanti di questa nazione tale diritto inalienabile possa venire in qualche modo limitato, sia che essi professino culti di antica dignità storica o nuove religioni sorte appena l’altro ieri. Dall’altra parte, poiché la Carta istitutiva su cui si devono fondare le relazioni tra i cittadini e lo Stato e fra i cittadini stessi dedica altrettanto spazio alla tutela di altri diritti, anch’essi di rango elevato, si deve cercare di contemperare entrambe queste esigenze, nel pieno rispetto della libertà di ciascuno.
Non possiamo non ricordare che l’art. 30 della Costituzione sancisce che «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli … nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti». Alla luce di questo, il Codice civile, all’art. 147 amplia il concetto e stabilisce che «il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli»[2].
Un attento esame della stragrande maggioranza dei culti marginali esistenti in Italia, mostra in modo chiaro e inequivocabile che al loro interno si verificano molto spesso delle condizioni che non solo prevaricano, fino a soffocarle, le capacità, le inclinazioni naturali e le aspirazioni dei figli, ma che rendono quelli fra i loro appartenenti che sono genitori, per così dire «incapaci» dal punto di vista giuridico ad assolvere pienamente l’obbligo loro derivante dalla Costituzione e dalle leggi. È dei giorni scorsi la notizia che ad una madre sono stati sottratti i figli perché, così assolutamente assorbita dalla sua smodata passione per le chat line, non prestava più ad essi le cure e l’assistenza necessarie che, sebbene non codificate per legge, sono inerenti e coerenti con l’obbligo genitoriale[3].
Per uscire dalla vaghezza e calarci in una realtà concreta, utile per comprendere l’argomento di cui ci stiamo occupando, esemplificherò quanto mi propongo di dimostrare facendo riferimento al gruppo dei testimoni di Geova. Ritengo che tale scelta sia particolarmente utile in quanto, oltre ad essere la comunità non cattolica più numerosa in Italia, essi si presentano e sono notoriamente conosciuti come uno dei nuovi culti più moderati, innocui e meglio inseriti nel contesto sociale[4].
E questo è ciò che appare grazie alle nutritissime batterie di avvocati di cui essi si avvalgono nelle innumerevoli cause giudiziarie che quotidianamente li vedono protagonisti in Italia (e nel resto del mondo) aventi per oggetto l’affidamento dei minori, controversie sanitarie sulle
emoterapie[5], contenziosi fiscali per l’evasione di tributi[6] ed anche in un passato più o meno recente di bagni di sangue causati dal loro intransigente, anacronistico rifiuto di obbedienza alle leggi degli stati dove esercitano il loro proselitismo. Le loro vicende nella Germania nazista[7] e nello stato africano del Malawi[8] (ex Niassa), ne sono solo un triste esempio, anche se in paesi come l’Argentina, la Grecia, Singapore, Cuba, e persino gli Stati Uniti nel corso della seconda guerra mondiale, la loro visione integralista e la forte ostilità verso ogni governo che non riconoscesse la loro visione del mondo e vi si conformasse, ha recato e continua a recare a molti di loro seri problemi.
L’adesione al credo dei testimoni di Geova non costituisce soltanto un esercizio intellettuale oppure un diverso accostarsi alla divinità con moti interiori che nulla attengono alla vita sociale o di relazione, L’essere o il divenire testimone di Geova necessariamente obbliga ad una riconsiderazione o ad una valutazione del mondo in cui l’individuo vive e opera e che, alla fine, porta al completo estraniamento da esso. Si comprende quindi che nel caso di un bambino, tale condizionamento è foriero di gravi guasti al suo equilibrio e al suo corretto inserimento nella società. I problemi cominciano fin dall’ingresso del piccolo nel mondo costituito dai suoi coetanei, che è rappresentato prima dalla scuola materna, poi dall’asilo[9] e via via negli stadi successivi del sistema scolastico. Il bambino figlio di testimoni di Geova percepisce immediatamente di vivere in un mondo che gli è ostile e dal quale egli deve imparare a tenere le distanze, pena la distruzione o la disapprovazione di Dio.
Gli viene insegnato, infatti, che tutti i governi del mondo, che siano democratici o dittatoriali, sono governati invisibilmente da Satana (sicché non vi è differenza tra il regime di Stalin, Hitler o Saddam Hussein con quello del governo olandese, danese o francese), e per tale motivo non è possibile nessuna collaborazione, nessun sostegno, nessuna condivisione delle scelte operate anche democraticamente, soltanto un atteggiamento passivo nel quale non è prevista, pena la scomunica, alcuna attività volta a prendere parte allo sviluppo sociale, politico o culturale delle nazioni che li ospitano. Cosicché egli si autoesclude, divenendo un pària, un intoccabile, un anormale. I momenti peggiori, che incidono in profondità sulla psiche del piccolo sono quelli che per gli altri costituiscono i momenti più felici: quelli delle festicciole in classe e degli altri momenti di aggregazione sociale. Il piccolo Testimone considera tali eventi come momenti di massima infelicità perché, nonostante si senta attratto da essi, deve rifuggirli come la peste.
La celebrazione del compleanno o dell’onomastico di un suo compagnetto o della maestra, la ricorrenza della festa della mamma o del papà, il truccarsi in maschera in occasione del carnevale, o una qualunque altra occasione, come le recite scolastiche di fine d’anno o le recite natalizie, o la partecipazione a competizioni sportive e così via, sono tutti momenti di disperazione per il piccolo testimone, perché gli viene insegnato, prima ancora di cominciare a scrivere, che si tratta di celebrazioni demoniche che contraddistinguono il “mondo del diavolo”, e dalle quali egli deve assolutamente guardarsi ed evitarle. Si comprende molto bene che dopo i primi momenti di sgomento da parte degli altri bambini, un atteggiamento del genere viene poi accettato come una “stranezza” ed il piccolo viene emarginato, isolato, scompare per gli altri.
Da qui il senso di frustrazione, di desiderio represso, di rivendicazione, che pongono nel bambino le basi per un atteggiamento aggressivo nei confronti della società che lo circonda ed il desiderio che essa venga al più presto distrutta, come gli insegnano mamma e papà, che lo spingono a “vendicarsi” per le emarginazioni subite, non appena potrà “predicare” ad altri la loro fine imminente[10]. Questa singolare caratteristica è stata pienamente percepita da uno dei grandi conoscitori dell’attuale realtà americana, lo scrittore Harold Bloom che in un suo libro intitolato La Religione Americana[11], ha scritto: «Quel che rende i testimoni di Geova diversi dagli altri non è la loro aspettativa della distruzione, ma piuttosto il loro odio violento per ciò che sarà distrutto, vale a dire il nostro paese, il nostro mondo, il nostro pianeta».
Tale atteggiamento va man mano più accentuandosi mentre si progredisce negli studi (si fa per dire) perché al giovane testimone, sia nelle adunanze della sua chiesa che nelle conversazioni private o nei grandi raduni annuali (una sorta di happening religioso, una Woodstock della fede) viene sempre più inculcata la necessità di tenersi assolutamente lontano da tutto ciò che il “mondo” offre, dalla vita associativa, e cioè da qualunque impegno sociale di qualsiasi natura, sia esso umanitario che politico o d’altro genere, sicché giunto all’età in cui è necessario guardarsi intorno per prendere decisioni essenziali per la propria esistenza, tale individuo non ha alternative: o fare il lavoro di propagandista a tempo pieno, il cosiddetto “pioniere”, oppure cercarsi un lavoro di poco impegno intellettuale che gli consenta di fare lo stesso il propagandista, anche se part time.[12]
Tutto questo è frutto di un processo la cui definizione oggi sembra infastidire alcuni sociologi di “grido”, particolarmente quelli impegnati nel difendere le sette e i cui scritti e la cui presenza nei talk show ormai dilagano, il cui risultato è quello di attutire sempre di più la coscienza delle persone e renderla meno reattiva nei confronti di questi pericolosi movimenti in continua espansione. Il processo, di cui bisogna avere il coraggio di parlare schiettamente, è quello definito con il termine di “condizionamento”. Anni fa, in uno studio fatto su questo fenomeno, una ricercatrice, la dottoressa Castiglione[13], definì il movimento dei testimoni di Geova come: «Il più rilevante esempio di coercizione psicologica e di manipolazione di massa che il protestantesimo statunitense abbia partorito nel corso della sua storia».
La società primitiva dei testimoni di Geova, una cui efficace descrizione ritroviamo con profetica preveggenza negli scritti del sociologo francese Emile Durkheim, così come quella della miriade di altri culti più o meno stravaganti, ci ricorda sotto certi aspetti, quella dei regimi dittatoriali più estremisti. In essa troviamo tutti gli elementi del fascismo, del nazismo e del comunismo reale di marca sovietica che hanno avvelenato per decenni il mondo. Ricorda anche - tanto per tenerci al pari con i tempi - il mondo del fondamentalismo islamico con le sue Jihad o guerre sante.
I “pionieri” dei testimoni ci ricordano la Hitler Jugend, o i balilla e poi i figli della lupa e così via. Se al piccolo italiano del ventennio veniva inculcato il motto “fascista perfetto, libro e moschetto”, al piccolo Testimone viene propinato quello del servizio alla Betel, dell’Armaghedon sempre più vicino, così come nel bolscevismo veniva sempre adombrato il momento topico della fine del capitalismo e del sorgere del nuovo giorno di una società senza “padroni”[14].
In quei sistemi era obbligatoria la delazione anche contro i membri della stessa famiglia se non allineati con l’ortodossia del partito, così come avviene all’interno della “Società” Torre di Guardia dove essa è incoraggiata e promossa. Ed è veramente significativo che molti dei termini tipici di questi movimenti, sembrano essere tratti da quell’antologia ante litteram dell’orrore che è il famoso 1984 di George Orwell. Termini come la «Società», la «neolingua», strumenti come la riscrittura della storia, sono tutti la realtà quotidiana di questi gruppi, esattamente come sono stati descritti dallo scrittore britannico nel lontano dopoguerra. Come si consegue il risultato di trasformare delle persone in automi e dei bambini in perfette macchine propagandistiche asservite esclusivamente ai voleri della «Società»?
Ricordate le bambine cinesi di una volta? Avevano tutte i piedini piccoli, ma non per caratteristiche razziali o genetiche, ma soltanto perché fin dalla nascita essi venivano crudelmente fasciati in modo tale da pregiudicarne per sempre un normale sviluppo, e da lì la caratteristica andatura a passettini che caratterizzava le donne di quel paese.
Ma non si possono fasciare solo i piedi, lo si può anche il cervello. Ed è quello che avviene all’interno dei movimenti settari. È vero che gli statuti e le norme di questi gruppi, preparati ad usum delphini, sono spesso ineccepibili dal punto di vista giuridico, ma è anche vero che in essi la verità sull’organizzazione interna è spesso presentata in modo tale da non consentire a chi è estraneo al movimento di comprenderne le reali caratteristiche; essi sono preparati solo allo scopo di consentire ad una pubblica amministrazione spesso superficiale, disinteressata e distratta di permettere il loro sviluppo e la loro crescita, fino ad un punto tale che i guasti divengono poi irreversibili.
Il fatto che tutto ciò avvenga spesso senza fare ricorso alla violenza fisica non è rilevante, anche perché ogni tanto è anche ad essa che si ricorre come nel caso mai dimenticato dei seguaci del reverendo Jim Jones che portò al “suicidio” di 900 persone in Guyana, o in quello dei 39 seguaci della setta canadese Heaven’s Gate che si immolarono in Svizzera, dei Branch Davidians di David Koresh[15], sterminati dalla polizia federale, o delle migliaia di testimoni di Geova che sono morti per il rifiuto delle emotrasfusioni.
Ma già è la vita quotidiana dei piccoli che rappresenta un vulnus al loro sviluppo. Nel caso del geovismo, che abbiamo scelto ad esempio, essi devono svolgere attività di propaganda fin dai primi mesi di vita. Devono frequentare oltre alla scuola dell’obbligo anche l’obbligatoria corvèe della Scuola dell’Organizzazione. Hanno i loro compiti assegnati; vestono come piccoli rappresentanti di medicinali. Non esiste per loro il momento magico della domenica mattina, per poltrire sotto le coperte, o del pomeriggio per giocare o andare al cinema. Vivono con il terrore di incontrare compagni di scuola o insegnanti nell’opera di propaganda porta a porta, e di essere poi additati e scherniti per tale attività.
Non è mio compito, perché me ne manca la competenza professionale, quello di indicare in che modo uno stato moderno e attento alla difesa dei diritti dei suoi cittadini dovrebbe operare per evitare che guasti come quelli che ho descritto si verifichino. Di solito si va agli eccessi: una volta c’era la caccia alle streghe, il “dagli all’untore” del diverso, il maccartismo religioso, odioso come quello politico; oppure il garantismo esagerato che nel nome di una supposta libertà assoluta (che non esiste), ritiene che sotto l’ègida della libertà di culto tutto possa essere consentito.
Potremmo riflettere sull’atteggiamento del governo francese, molto sensibile a queste tematiche, che da tempo presta un’attenzione significativamente maggiore di quella italiana nei confronti di questi movimenti, legiferando per porre loro un argine e impedire che producano guasti eccessivi al tessuto sociale. In quel paese, infatti, nel 1995, dopo il suicidio collettivo compiuto in Svizzera dall’”Ordine del Tempio Solare”, è nata una Commissione Parlamentare con il compito di studiare il fenomeno delle sette. Poi, nel 1996, è stato istituito l’Osservatorio sulle Sette, gruppo di studio interministeriale, sostituito nel 1998 dalla “Missione governativa di lotta contro le sette”.
In Italia, qualche anno fa, e precisamente nell’aprile 1998 è stato compiuto uno studio del fenomeno a livello nazionale, commissionato dal Ministero dell’Interno e intitolato “Rapporto sui Nuovi Movimenti Religiosi”, che si è rivelato ampiamente insufficiente perché poneva l’accento più sull’aspetto socio poliziesco che sui contenuti dottrinali e le loro dirette conseguenze. Ma basterebbe, tanto per cominciare, che si prestasse una maggiore attenzione al fenomeno di cui ci stiamo occupando, per conoscerne meglio la realtà vera, i meccanismi, gli scopi, anche in vista della sempre rinviata legge sulla libertà religiosa che dovrebbe, per la prima volta, entrare seriamente nel merito di ciò che effettivamente può considerarsi come fenomeno religioso, e pertanto insindacabile, da ciò che non lo è e che molto spesso si configura come qualcosa di profondamente diverso.
Una società progredita è una società che mette i bambini al primo posto, che ne ha tenera cura e che si preoccupa del loro sviluppo fisico ed emotivo. Le eccessive preoccupazioni per la vita non ancora nata ci fanno a volte dimenticare quelle doverose per quella già esistente, da tutelare e da proteggere. Sappiamo tutti come i maggiori insulti all’infanzia abbiano luogo proprio all’interno delle famiglie. Sappiamo che la piaga della pedofilia e della violenza fisica contro i piccoli si sviluppano proprio nell’ambito familiare, così è al suo interno che hanno luogo i processi di condizionamento che trasformano creature con il diritto ad una vita piena e consapevole, in piccoli soldatini al servizio di strutture più grandi di loro, che di loro si servono nel nome di principi astratti, di rivelazioni divine, di ipotetiche conquiste spirituali, e che in cambio esigono un asservimento cieco, totale e acritico a norme e regole di comportamento e abitudini di vita che, se conosciute, farebbero rabbrividire molti.
Mi piace a questo punto concludere con un brano tratto dal libro “Movimenti religiosi alternativi” del dott. Achille Aveta e del sottoscritto, pubblicato nel 1998 dalla Libreria Editrice Vaticana, che riassume efficacemente quanto io in questa esposizione ho cercato di trasmettere.
Elia Wiesel, premio Nobel per la pace, ha scritto: "L'intolleranza è vicina all'odio che è spesso irrazionale, impulsivo, nero, sornione. La sua cupa potenza fa appello a ciò che vi è di distruttivo nella persona umana. Il suo ritmo è rapido e il suo progresso implacabile.... L' odio è capace di produrre null'altro che odio e intolleranza null'altro che bruttezza e ignoranza. ... Praticando l'esclusione a tutti i livelli, il fanatico si considera come il solo detentore della verità e della salvezza ed è per questo che esige il potere di mettere le sue idee in pratica, di imporsi, di dominare. È il fanatico che decide quando offrire la salvezza, a chi e come.
Non tollera alcuna parola che non sia sottoposta alla sua, nessun pensiero che non porti il marchio del suo. Rifiutando ogni dialogo, non sa fare altro che monologhi ripetendosi, divenendo così un ostacolo maggiore, ritardando ogni progetto culturale, ogni ambizione civilizzatrice, ogni esperienza spirituale"
In varie nazioni i tribunali si sono trovati di fronte a casi sempre più numerosi di conflitto tra i diritti individuali di libertà e le libertà dei gruppi di appartenenza. Da più parti, sempre più frequentemente, molti si chiedono se i riti e le pratiche - collettivi o individuali - di alcuni di questi movimenti siano contrari all'ordine pubblico e giustifichino ingerenze dello Stato finalizzate ad accertare che al loro interno non vengano violati i diritti fondamentali dei cittadini o le leggi; se questi gruppi, così diversi da quelli più noti che si rifanno alla tradizione cristiana, possano beneficiare dell'attribuzione di movimenti religiosi o se si debba tenerli distinti a motivo di un insieme molto vasto di credenze e pratiche le quali, pur avendo qualche attinenza con il religioso,non sono strettamente religiose.
È opportuno, pertanto, spendere qualche parola su cosa intendiamo per "religione". Riferendoci alla funzione che ogni specie di religione ritiene fondamentale, è evidente che una religione è una credenza in una garanzia soprannaturale offerta all'uomo per la sua salvezza, nonché un insieme di tecniche tese ad ottenere o conservare tale garanzia.
Dunque un movimento può essere definito religioso, quando in esso è presente almeno uno degli elementi menzionati (esistenza e ricerca di una salvezza). È abbastanza diffuso il rifiuto di assumersi la responsabilità del proprio comportamento, per il fatto che si vorrebbero evitare le possibili conseguenze spiacevoli di tale comportamento: ogni volta che si cerca di sottrarsi alle responsabilità dei propri atti, ci si sforza pure di accollarle a qualcun altro (sia questi un individuo o un'istituzione); ma così facendo si rimette a questo ogni proprio potere. Perciò Erich Fromm ha intitolato appropriatamente "Fuga dalla libertà" il suo studio su nazismo ed autoritarismo: per sfuggire al peso delle responsabilità milioni di persone si trovano quotidianamente a fuggire dalla libertà.
Al contrario, la vita non è altro che una serie di scelte e di decisioni personali: se si è capaci di accettare questo fatto, si diventa una persona libera. Quanto più chiaramente si riesce a vedere la realtà del mondo, tanto più facilmente se ne potranno affrontare le difficoltà e le insidie. Ognuno di noi - che lo ammetta o no - ha un bisogno di dipendenza: tutti vorremmo essere trattati come bambini, nutriti e accuditi da persone più forti di noi che abbiano veramente a cuore il nostro benessere; come fanno rilevare psichiatri e psicologi, anche se siamo persone forti, adulte e responsabili, guardando bene in noi stessi scopriremo di desiderare che, almeno "una tantum", qualcun altro si prenda cura di noi.
Tuttavia, non bisogna confondere questo senso o bisogno di dipendenza con la dipendenza vera e propria; come afferma il noto psichiatra M. Scott Peck, la dipendenza è l'incapacità di sentirsi completi senza la costante presenza di qualcuno che ci vuol bene. Nell'adulto fisicamente sano la dipendenza è patologica - sempre cioè la manifestazione di una turba psichica. Questo tipo di persona non si sente mai completamente realizzato e prova un costante senso di insoddisfazione. È chiaro che costoro, la cui vita è dominata dal desiderio di dipendenza, poiché soffrono di ciò che gli psichiatri definiscono turbe da personalità passivamente dipendente, sono i più probabili candidati all'affiliazione a un qualsiasi movimento religioso alternativo, in particolare a quelli comunemente definiti sette distruttive.
Perché? Poiché a loro non importa da chi dipendono, è solo sufficiente dipendere da qualcuno: vogliono solo che qualcuno fornisca loro una identità, non importa quale; per questo le loro relazioni con il prossimo, anche se possono apparire drammatiche nella loro intensità, sono in realtà molto superficiali. Infatti, qualsiasi cosa facciano tali persone passivamente dipendenti, il loro scopo resta sempre quello di assicurarsi l'affetto e il sostegno altrui. Qual è, secondo gli esperti, la causa principale di questa dipendenza passiva?
La mancanza d'amore. Scrive, infatti, M. Scott Peck: "L'intimo senso di vuoto che affligge le persone passivamente dipendenti è la diretta conseguenza dell'incapacità dei genitori di appagare il bisogno d'affetto, di attenzioni e di cure dei figli durante l'infanzia". Nel contesto di un movimento religioso alternativo la dipendenza può essere scambiata per amore in quanto induce le persone ad aggrapparsi l'una all'altra, ma in realtà non è amore; è una specie di anti-amore, ha le sue radici nell'incapacità di amore dei genitori e perpetua tale incapacità favorisce l'infantilismo piuttosto che la crescita, distrugge i rapporti fra le persone anziché promuoverli e distrugge le persone stesse. Un'altra caratteristica delle persone dipendenti è quella di non preoccuparsi affatto della propria crescita spirituale.
Il viaggio verso la crescita spirituale esige coraggio, iniziativa, autonomia di pensiero e d'azione; la grazia di Dio e la Sua Parola ci assistono, ma il viaggio dobbiamo compierlo da soli: nessun guru può accompagnarci fino alla meta, né esistono formule o rituali che possano abbreviare il cammino. Nessun insegnamento settario può sollevare il viaggiatore dal duro compito di scegliere con cautela la via da seguire e di trovare faticosamente la strada che, attraverso le particolari vicende della propria vita, lo condurrà a rapportare il proprio io individuale con Dio.
Spesso leggiamo dichiarazioni di esponenti di movimenti religiosi alternativi in cui si enfatizza il miglioramento delle condizioni psichiche degli affiliati rispetto allo stato di salute precedente all'adesione al movimento; per quanto possa sembrare sorprendente, anche studiosi della psicologia dei movimenti religiosi alternativi ammettono: "Il benessere psichico non è prodotto dal soddisfacimento delle pulsioni, ma dipende in modo determinante dal senso che viene dato tanto alle esperienze positive, quanto a quelle negative.
Molti nuovi movimenti religiosi hanno successo, probabilmente, proprio perché riescono a rispondere all'esigenza di dare un senso alla propria esistenza di molti giovani, per i quali i modelli della società moderna hanno perso attrattiva". Infatti le azioni e le esperienze personali - come le difficoltà quotidiane, i sacrifici e le sofferenze che inevitabilmente accompagnano l'esistenza di ognuno acquistano un senso in relazione ai principi che ispirano il gruppo, quindi possono essere considerate come un contributo al bene comune o, meglio, a ciò che si considera tale.
È possibile che il disturbo emozionale causato dagli eventi traumatizzanti della vita sia lenito dall'effetto sollievo operante nei movimenti religiosi alternativi: l'angoscia causata da tali eventi sarebbe bilanciata dal supporto emozionale derivante dall'impegno nel gruppo; in altre parole, più uno si sente strettamente associato, più può collocare le esperienze distruttive nella prospettiva dell'ideologia del movimento e quindi evitare un senso di sconforto, addirittura, di disperazione. L'affiliazione al movimento agisce da equilibratore degli effetti di eventi traumatizzanti; per alcuni il movimento offre un "oggetto" alternativo per i propri bisogni di dipendenza e una via per non dover gestire la propria vita.
La creazione dell'angoscia e il citato elemento equilibratore sono alla base del cosiddetto effetto pinza: gli adepti intuiscono implicitamente che il sollievo dall'angoscia è dato dal loro legame con il movimento e ad esso si rivolgono per avere conforto quando devono affrontare traumatizzanti esperienze di vita; paradossalmente la loro adesione ai dettami del movimento li porta a conformarsi ulteriormente a richieste potenzialmente traumatizzanti.
In tal modo il gruppo crea angoscia e contemporaneamente la toglie al prezzo di una sempre crescente obbedienza. In genere le reazioni sociali nei confronti dei movimenti religiosi alternativi si basano non tanto sulle loro credenze quanto sui loro modelli di comportamento e sulle loro relazioni con la società. Ecco perché tali movimenti religiosi alternativi attribuiscono fondamentale importanza alla propaganda di facciata da presentare agli estranei.
Da questo impegno pubblicitario nascono i miti e sarà nostro impegno sfatare alcuni di tali miti.La nostra società è caratterizzata dall'apparire più che dall'essere: bisogna impressionare gli interlocutori apparendo ai loro occhi più dotati, esperti e competenti rispetto alla realtà. Si tratta di una caratteristica di cui a lungo si è discusso e che ha tanti detrattori quanti sostenitori. In questo contesto i movimenti religiosi alternativi hanno subito compreso i notevoli vantaggi derivanti da una propaganda impostata sulle apparenze e la sfruttano con efficacia.
Di norma, i seguaci di un movimento religioso alternativo sono caratterizzati dai seguenti elementi psicologici:hanno un sistema comune di fede e attribuiscono un potere carismatico - a volte divino - alla dirigenza del movimento; - dimostrano un elevato livello di coesione sociale - sono fortemente influenzati dalle norme di comportamento del movimento. Come si vive in un movimento religioso alternativo? La tendenza ad aggregarsi a gruppi sociali è evidente nelle culture più diverse e nasce dai vantaggi che un gruppo offre nel soddisfare i bisogni giornalieri e nel lottare contro le avversità.
L'attrazione per movimenti religiosi alternativi molto compatti è tale da indurre gli adepti ad esporsi a molti rischi per fedeltà al gruppo: compiere lunghi periodi di duro lavoro non retribuito, esporsi al pubblico ludibrio, rinunciare a una gravidanza, rifiutare allettanti offerte di lavoro e trascurare la possibilità di farsi un'istruzione superiore, evasione dalla realtà. Chi entra a far parte di un movimento religioso alternativo rinuncia alla possibilità di prendere decisioni autonome e aderisce alle norme del gruppo, cosa che potrebbe contrastare con i suoi bisogni di adattamento. Allora quale meccanismo psicologico fa scattare la tendenza all'affiliazione? Quando le persone si fanno coinvolgere in un movimento religioso alternativo, si realizza un rapporto inverso fra i loro sentimenti di disturbo emozionale e il grado di affiliazione al gruppo.
La capacità d'impegno individuale verso il gruppo è mediata dal sollievo da disturbi nevrotici, un sollievo che i proseliti provano con l'affiliazione e con la costante appartenenza al gruppo; più vi si sentono legati, meno angoscia provano. Al contrario, se si distaccano un po' dal gruppo, essi vengono indotti a tornarvi a motivo dell'aumentata angoscia che avvertono. Un adepto diventa simile a una cavia di un esperimento di condizionamento.
Grazie alla facilità con cui si può esercitare il controllo del gruppo, le fantasie di un leader si traducono in azioni rituali che, sebbene bizzarre e nocive, hanno un senso all'interno del delirante sistema del gruppo. Interagendo con i seguaci, il leader si convince sempre più del "grandioso" ruolo attribuitogli, ciò può indurlo a pretendere dagli adepti prestazioni che per gli estranei sono illegali; il gruppo può anche attribuire uno speciale significato agli avvenimenti e al linguaggio quotidiani. Il sistema sociale settario, come tutti i sistemi sociali, ha specifiche funzioni capaci di proteggerne l'integrità di realizzarne gli obiettivi; esse sono: trasformazione, controllo, retroazione controllo del confine.
La trasformazione è la funzione che consente al gruppo di perseguire il suo obiettivo primario, cioè la definizione della propria identità. È per questa identità che gli adepti si dedicano all'attività di proselitismo. L'impegno al proselitismo garantisce più consistenza e più forza al gruppo e conferisce pure legittimità all'ideologia propria del gruppo, rafforzando quindi l'impegno degli affiliati veterani. Da una parte il gruppo è fortemente seducente nel suo tentativo di attirare nuovi adepti, dall'altro esso chiede la rottura dei precedenti legami sociali e una modificazione nella visione del mondo, propria del convertito.
Così, quando tutte le risorse del gruppo si concentrano sull'individuo, è notevole il potenziale per lacerare il tessuto della sua stabilità psicologica: potrebbero derivarne sintomi di disagio psichico in persone con nessun precedente di disturbi mentali o d'instabilità psichica. Ogni seguace incontrato da chi sta per convertirsi contribuisce alla indiscutibile affermazione della giustezza della posizione del gruppo, accrescendone quindi la capacità di trasformare il proselito. Per operare efficacemente, un sistema settario deve pure osservare e regolare le azioni dei suoi componenti, al fine di garantire che le loro attività siano adeguatamente eseguite e coordinate. Ciò costituisce la sua funzione di controllo.
Tale controllo è fondamentale per ogni sistema al fine di garantire l'efficace attuazione del suo compito primario: il sistema deve avere un apparato per controllare i propri componenti. Infatti è proprio grazie all'efficacia del controllo all'interno di un movimento religioso alternativo che anche il più bizzarro rovesciamento di prospettiva della realtà dei fatti viene accettato senza discutere. Queste difese psicologiche proteggono la "cultura" del gruppo da idee inaccettabili, anche se si tratta di "verità" prodotte dallo stesso movimento ma ritenute sorpassate: tali "verità" vengono spesso ignorate in blocco negandole, dimenticandole attraverso la rimozione o distorcendole attraverso la razionalizzazione.
Il palese fallimento di tali "verità" obsolete viene negato perché espone i vertici del gruppo a dubbi e causa demoralizzazione, pertanto i fatti e le dichiarazioni ufficiali vengono efficacemente manipolati per mantenere la stabilità interna del gruppo. In un movimento religioso alternativo anche il ricorso a concetti e a espressioni gergali speciali può contribuire, consciamente o inconsciamente, a isolare e tenere separato chi è affiliato da chi non lo è; infatti la lingua viene adoperata per definire, o meglio ridefinire, la realtà.
È chiaro che in un sistema sociale il controllo viene effettuato più facilmente quando esiste una collaborazione volontaria fra chi esercita tale controllo e chi viene guidato; infatti è meglio se i controllati accettano la guida senza decisione cosciente e, dato che il meccanismo difensivo d'identificazione opera in maniera inconscia, quelli che adottano gli atteggiamenti dei loro capi lo fanno senza riflettere sulla saggezza delle proprie azioni.
Ci sono sempre state persone che ritengono che il loro impegno nei confronti di Dio debba prevalere su tutti gli altri interessi; comunque la raccomandazione più importante da fare ai familiari e agli amici di un affiliato a un movimento religioso alternativo è quella di continuare a tenersi in contatto con lui. È vero, conservare i rapporti con un siffatto adepto può risultare molto difficile, tuttavia dargli ultimatum (del tipo: "o noi o il movimento") non è consigliabile anche quando è evidente che i problemi di relazione sono dovuti principalmente al movimento.
Soprattutto in queste circostanze è fondamentale che parenti e amici chiariscano esplicitamente che continuano a rispettare e amare il loro caro e che intendono conservare uno stretto rapporto con lui. Si sa che è decisamente frustrante scoprire che argomentazioni ragionevoli non vengono prese in considerazione da un proprio caro o avere le prove che il movimento gli impedisce di far valutare con serenità le proprie ragioni; tuttavia, per quanto frustrati o arrabbiati si sentano, parenti e amici dovrebbero evitare che le loro comprensibili emozioni li inducano a parlare o agire in un modo che l'adepto possa interpretare come irragionevolmente intollerante offrendogli il destro per dare ragione al movimento che ha intimato all'adepto di diffidare delle iniziative di parenti e amici.
Di solito è facile dire al convertito: "Non aderire!", o: "Escine!", oppure rinfacciare all'adepto cosa c'è di sbagliato nel movimento cui ha aderito; cosa ben più faticosa è stare ad ascoltare che cosa egli vi trovi di attraente.
Capire non significa necessariamente approvare: ascolto non implica la condivisione dello stile di vita o delle "verità" proposti dal movimento, ma richiede il rifiuto di un approccio cinico e sprezzante della "fede" scoperta dall'adepto; né l'ascolto impone di tacere sul fatto che il movimento a cui la persona cara è interessata, o a cui ha aderito, può esigere molti più soldi o impegno di quanto appaia a prima vista o su altre specifiche preoccupazioni: se esistono veri motivi di preoccupazione, è necessario presentarli alla persona il più presto possibile, con calma e precisione; evitate le vaghe generalizzazioni; ripetere informazioni sensazionalistiche senza averle verificate come autentiche può solo contribuire a confermare nella mente dell'adepto l’idea che dall' esterno la gente distorca la verità per fini malevoli.
In definitiva, uno degli obiettivi primari di questo ascolto consiste nel rendersi conto che l'affiliato non abbia perso, o non corra il rischio di perdere, il suo senso di responsabilità individuale. Infatti, per certe persone il fatto di abbandonarsi tra le braccia del movimento può comportare la rimozione o la soppressione della percezione di sé come individui con diritti e responsabilità.
Quali prospettive hanno gli affiliati ai movimenti religiosi alternativi di uscirne? Perché tanti possono testimoniare di essersi liberati dal condizionamento mentale esercitato su loro dai movimenti religiosi alternativi? Cosa accade nella mente di un adepto che lo induce a staccarsene? In estrema sintesi potremmo affermare che molto spesso gli affiliati abbandonano i movimenti religiosi alternativi perché si rendono conto che questi sono semplicemente dei gruppi e non delle vere e proprie comunità.
È evidente quindi che il più grande nemico di una comunità è l'esclusività settaria; come ha osservato qualcuno, la comunità è "un gruppo che ha imparato a trascendere le proprie differenze individuali", pertanto un'organizzazione eccessivamente strutturata è l'antitesi di una comunità. In un movimento religioso alternativo, dove l'esigenza di "restare uniti" è decisamente pressante, l'abbandono comporta il rifiuto della missione trascendente attribuita ai vertici del gruppo e un fardello di esami di coscienza e di sensi di colpa: gli affiliati giungono a decidere per l'abbandono in un certo lasso di tempo mentre continuano a vivere all'interno del movimento.
Chi abbandona i movimenti religiosi alternativi è indotto a rendersi conto che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, una vita equilibrata difficilmente è caratterizzata dall'assenza di crisi; l'equilibrio psicologico di un individuo dipende invece dalla rapidità con la quale egli è capace di reagire alle crisi. Nel processo di formazione di una comunità i suoi membri imparano ad abbandonare schieramenti e fazioni, imparano ad ascoltarsi e a capirsi l'un l'altro, rispettano gli uni i "doni" degli altri e accettano reciprocamente i rispettivi limiti.
Questo non significa che una comunità sia sempre pacifica nel senso comune del termine, anzi a volte i suoi membri si confrontano anche duramente, tuttavia si tratta di uno scontro costruttivo perché basato sull'amore. Una comunità non nasce grazie agli ordini di un capo autoritario, nella comunità si impara pure ad arrendersi e a capire che spesso la vita non è un problema da risolvere, ma un mistero da vivere. Pertanto, affinché un gruppo si trasformi in una comunità, occorre un notevole grado di impegno e perché essa continui a vivere, deve fondarsi su un nucleo di persone che le si dedichino senza riserve.
La comunità non risolve il problema del pluralismo cancellando la diversità, al contrario essa accoglie ogni punto di vista, ingloba gli opposti, ricerca la diversità. In una vera comunità si arriva alle decisioni solo attraverso il consenso: essere pienamente consapevoli della varietà umana significa riconoscere la nostra dipendenza reciproca.
Chi si propone come fine la ricerca della felicità, molto facilmente non la trova. Chi invece cerca di creare e amare senza badare a ciò che ne avrà in cambio, spesso si trova a essere felice per buona parte della sua vita.
È mio sincero augurio che da questo convegno possano emergere alcune riflessioni che contribuiscano allo sviluppo di un dibattito, sia nella società civile che nelle aule del Parlamento, affinché domani quelli di noi che potevano non debbano rammaricarsi e dover poi dire a se stessi: perché?
Note:
[1] Di vera e propria strage si può parlare nel caso dell’organizzazione dei testimoni di Geova, dove i decessi dovuti all’arcaico rifiuto del sangue, che molto spesso coinvolge i minori, si contano ormai a migliaia. Per testimoniare di questa barbarie, esiste un sito nel quale sono contenuti in un triste elenco, in nomi di tutti quei bambini di cui si è avuta notizia certa della loro morte dovuta al rifiuto dei loro genitori di sottoporli alle necessarie emoterapie. Si veda http://www.ajwrb.org/victims/index.shtml
[2] Una riflessione sull’incapacità dei genitori aderenti ad un culto, la si ritrova nell’interessante saggio di M. Scott Peck, uno dei più noti psichiatri americani. Nel suo notissimo Voglia di bene (Frassinelli, Varese, 1985), egli spiega che la dipendenza da un culto può essere scambiata per amore, e tale tipo di “amore” può essere trasferito dai genitori ai figli, trasferendo in loro, pertanto, non il loro amore di genitori, ma l’esigenza di conformarsi a direttive aliunde erroneamente intese come profondo interesse per il futuro dei bambini.
[3] Come non ricordare, a tal proposito, un processo che negli anni ’90 ebbe risonanza nazionale, quello della famiglia Dalla Libera, nel quale ai genitori era stato imposto dagli anziani della locale congregazione, per guarire la loro bambina affetta da un’appendicite, un rito pseudo esorcistico, e che, se non fosse intervenuta infine una salutare ribellione, avrebbe potuto avere conseguenze fatali per la vita della piccola Elisa. (vedi Il Gazzettino di Venezia del18 giugno 1993).
[4] Godono, anche, di riconoscimenti giuridici, ed attualmente, dopo la firma dell’Intesa durante il governo D’Alema, sono in attesa della sua ratifica da parte del Parlamento Italiano, che consentirebbe anche a loro di godere di numerose agevolazioni, fra le quali l’8 per mille già riconosciuto, oltre che alla Chiesa cattolica, anche a numerose confessioni di matrice evangelica. A loro è già consentita la celebrazioni di matrimoni mediante loro ministri di culto con nomina governativa; l’assistenza religiosa nelle carceri e negli ospedali e perfino la pensione ai loro ministri di culto. Il primo D.P.R. (del presidente Cossiga) con il quale vengono riconosciuti dallo Stato è il 783 del 31 ottobre 1987.
[5] L’episodio più sconvolgente in Italia si è verificato negli anni ’80, quando la piccola Isabella Oneda, di 2 anni, morì perché non sottoposta alle indispensabili trasfusioni di sangue, unico presidio terapeutico per la Talassemia da cui era affetta. I genitori, entrambi testimoni di Geova, prima condannati a 15 anni per omicidio volontario, furono successivamente rimessi in libertà, dopo avere scontato una pena ridotta, perché in sede d’appello, furono riconosciute loro delle esimenti dovute alle motivazioni di origine religiosa del loro gesto.
[6] Ad esempio di ciò possiamo richiamare una recente vicenda della vicina Francia, nella quale la struttura centrale di questa organizzazione è stata condannata dalla Corte d’Appello di Versailles al pagamento di più di 45 milioni di Euro per evasione fiscale negli anni dal 1995 al 1999. I vertici del movimento hanno avviato una capillare campagna di aggressione nei confronti del governo francese, accusato di “persecuzione”, di oscurantismo e di discriminazione religiosa, esattamente con gli stessi toni usati per denunciare il governo nazista di Adolf Hitler.
[7] A. Aveta, S. Pollina, Scontro tra totalitarismi: Nazifascismo e Geovismo, Libreria Vaticana, 2000.
[8] M. J. Penton, Apocalypse Delayed, seconda edizione, University of Toronto Press, 1997.
[9] È interessante sottolineare come i vertici di questo movimento, abbiano sempre scoraggiato l’iscrizione dei loro piccoli all’asilo, sottintendendo persino sanzioni disciplinari nei confronti dei genitori inadempienti. E ciò per l’ovvio motivo che in tali fasi del ciclo prescolare è consuetudine impartire anche elementi della cultura religiosa del paese nel quale essi vivono.
[10] È particolarmente significativo, al riguardo, quanto è narrato dal dott. J. R. Bergman, psicologo statunitense e uno dei maggiori esperti di questo argomento, nel suo libro I testimoni di Geova e la salute mentale, pagg. 280-290, Edizioni Devoniane, Roma, 1996.
[11] Harold Bloom, La religione Americana, Garzanti 1994.
[12] Sebbene in seguito e forti pressioni interne negli ultimi anni il divieto di frequentare l’università si sia notevolmente attenuato, per molto tempo nessun Testimone di Geova ha mai varcato le soglie di alcun ateneo (tranne poche, sporadiche, eccezioni). E questo perché era comune convincimento del loro Corpo Direttivo che l’ambiente universitario fosse l’anticamera dell’eversione e dell’ateismo a motivo delle discipline che in esso vengono impartite.
[13] Miriam Castiglione, I testimoni di Geova: idelogia religiosa e consenso sociale, Claudiana, 1981.
[14] Tale forma di condizionamento da parte dell’ambiente in cui si sviluppa la personalità del bambini, è trattata in maniera efficace dal dott. S. Hassan, psicologo, nel suo libro Mentalmente liberi, Editrice Avverbi, Roma, 1999.
[15] S. Pollina, A. Aveta, Movimenti religiosi alternativi, Libreria Vaticana, 1998.