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Giovanni 8:58

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Giov. 8:58: “io c’ero”, o “io sono”?


Gesù discute con i Farisei

Il passo del vangelo di Giovanni cap. 8, versetto 58, viene così reso nella Traduzione del Nuovo Mondo del 2017:

«Gesù disse loro: “In verità, sì, in verità vi dico: prima che Abraamo nascesse, io c’ero”».

L'edizione inglese della medesima traduzione, traduce in questo modo:

«Jesus said to them: “Most truly I say to you, before Abraham came into existence, I have been».

Le altre traduzioni in lingua italiana rendono invece il versetto in questo modo:

Nuova Riveduta: Gesù disse loro: «In verità, in verità vi dico: prima che Abraamo fosse nato, io sono».

C.E.I.: Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono».

Nuova Diodati: Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: Prima che Abrahamo fosse nato, io sono».

Bibbia della Gioia: «Per la verità prima che Abramo nascesse, IO SONO».

Non si usa un passato (“io ero”, “io c’ero”, o “io sono stato”), ma il presente: “io sono”.

Il greco originale è “ego eimi” che significa letteralmente “io sono”, espressione che richiama alla mente l’“Io sono” pronunciato da Dio nel libro di Esodo (3:14).


Opera d’arte di un calligrafo ebreo nella sinagoga sefradita detta “Istanbuli”, Gerusalemme.
Vi è scritta la frase di Es. 3:14 ʾehyeh ʾašer ʾehyeh che la didascalia traduce
“I am that I am”, generalmente tradotta in italiano con “Io sono colui che sono”.

La TNM, a differenza delle altre traduzioni, in Esodo 3:14 e in Giovanni 8:58 usa termini diversi, come si è visto. Anche in questo caso i TdG si discostano dalla lettera del testo greco perché la traduzione “io sono” non si armonizzerebbe con la loro teologia, in quanto fa pensare che Gesù si attribuisca un titolo divino, identificandosi con YHWH. Secondo i TdG invece, con queste parole Gesù intendeva semplicemente dire che lui esisteva prima di Abraamo e non si identificava quindi in alcun modo con Dio.

La Watchtower Society dice che tale identificazione non è possibile anche perché le parole usate in Esodo e in Giovanni sono diverse. Ecco cosa scrivono nell'Appendice della TNM del 1987:

*** Rbi8 p. 1585 6F Gesù — In esistenza prima di Abraamo ***
Inoltre, sempre tentando di identificare Gesù con Geova, alcuni cercano di usare Eso 3:14 (LXX), che dice: ’Εγώ εἰμι ὁ ὤν (Egò eimi ho on), ovvero “Io sono l’Essere”, o “Io sono Colui che esiste”. Questa ipotesi non è sostenibile perché l’espressione di Eso 3:14 è diversa da quella di Gv 8:58. (Vedi nt. a Eso 3:14).

Per comprendere come deve essere correttamente tradotto il passo di Giov. 8:58, oltre che consultare gli studiosi di greco neotestamentario, possiamo anche leggere gli scritti di alcuni cristiani dei primi secoli, che erano di madre lingua greca e quindi comprendevano queste parole molto meglio dei traduttori della Watchtower.

Cito a questo proposito parte di una discussione avvenuta nel forum Infotdgeova [1] in cui si è esaminata questa scrittura ed anche l’obiezione succitata della WTS, secondo cui “l’espressione di Eso 3:14 è diversa da quella di Gv 8:58”:

“Mosè disse a Dio: «Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!» (ʾEhyeh ʾašer ʾehyeh). Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono (ʾEhyeh) mi ha mandato a voi». Dio aggiunse a Mosè: «Dirai agli Israeliti: Yhwh, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione.” (Es 3, 14-15) [2]

L’obiezione, in vero non molto profonda e ragionata, che il nome divino in Es 3,14 è ν (ho on) e non γώ εμι (ego eimi), è priva di fondamento.

Gesù in Gv 8,58 non poteva usare per auto-identificarsi col Dio di Es 3,14 la locuzione “ ν” (l’essente), perché altrimenti la frase sarebbe rimasta senza soggetto e Gesù non avrebbe più parlato di se stesso. La frase sarebbe infatti diventata “Prima che Abramo fosse, l’Essente”. Che non vuol dire niente ovviamente, e non si sarebbe neppure capito che Gesù parlava di se stesso. Allora l’evangelista usa un’altra strategia: siccome legge Es 3,14 come una dichiarazione dell’eterno presente di Dio, infila di proposito un errore nella consecutio temporum della frase. In italiano, esattamente come in greco, se ci si vuole limitare a dire che si esisteva prima di qualcuno, si usa l’imperfetto. Se il senso che l’evangelista voleva trasmettere fosse stato questo, egli avrebbe semplicemente scritto “Prima che Abramo fosse, io c’ero” (o in greco πρν βραμ γενέσθαι γ ν). Infatti quando in passato ho interloquito con dei TdG, difensori dell’erronea traduzione “io ero”, non ho mai ottenuto una spiegazione soddisfacente del perché, secondo loro, se l’autore del Vangelo avesse davvero voluto dire quello che dicono loro non abbia usato un comodo imperfetto). Invece in greco quel “ego eimi” al presente è spiazzante esattamente come lo è in italiano, e fa il medesimo effetto. Il Gesù Giovanneo non vuol dire che lui c’era, ma che lui È.

Questa esegesi ovviamente non è una creazione dei moderni, ed è classica anche nei Padri della Chiesa, che ben hanno visto il legame con Es 3,14. Tra i più importanti citiamo almeno Agostino e Giovanni Crisostomo:

«Adirati i Giudei risposero: Non hai ancora cinquant'anni, e hai veduto Abramo? E il Signore: In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, io sono (Gv 8, 57-58). Pesa le parole e intendi il mistero. Prima che Abramo fosse: fosse si riferisce alla creatura umana; sono si riferisce alla divina essenza. Fosse, perché Abramo era una creatura. Non disse il Signore: Prima che Abramo esistesse, io ero; ma disse: Prima che Abramo fosse fatto - e non poté esser fatto se non per mezzo di me -, io sono. Neppure disse: Prima che Abramo fosse fatto, io sono stato fatto. In principio - infatti - Dio fece il cielo e la terra; e in principio era il Verbo. Quindi, prima che Abramo fosse, io sono. Riconoscete il Creatore, non confondetelo con la creatura. Colui che parlava era discendente di Abramo; ma perché potesse chiamare Abramo all'esistenza, doveva esistere prima di lui.» (Agostino, Commento al vangelo di Giovanni, 43, 17).

E Giovanni Crisostomo nella sua omelia LV sul Vangelo di Giovanni scrive:

Ma perché mai Gesù non ha detto “Prima che Abramo fosse, io ero” [γ μην] anziché “io sono” [γ εμί]?[3] Come il Padre, per farsi conoscere, si è servito di questa espressione “io sono” μί], così fa anche Cristo. Questa parola significa che egli è eterno, senza fissare nessun tempo particolare. Ecco perché i giudei considerarono questa parola come blasfema. Se non poterono tollerare una comparazione che Egli fece con Abramo, sebbene essa non fosse così grande, non è evidente che essendosi Egli fatto spesso uguale al Padre non avrebbero mai cessato di gettargli pietre?” (Giovanni Crisostomo, Omelie su Giovanni, 55, 324)

Questa citazione di Giovanni Crisostomo è deliziosa per svariati motivi. Il primo è che si tratta di un autore madrelingua greco (e che madrelingua! Non a caso lo chiamano “bocca d’oro” per la sua capacità di utilizzare il greco). Il secondo motivo è che questo madrelingua dà per scontato che un lettore grecofono non possa capire quello che invece i TdG sostengono si debba intendere in Gv 8,58. Vale a dire che, proprio perché “ego eimi” (io sono) ed “ego en” (io ero) in greco sono due cose diverse, il Crisostomo, che ovviamente legge e capisce “io sono”, si chiede come mai Gesù non abbia detto “io ero” se avesse voluto intendere che lui c’era all’epoca di Abramo (il che è invece quello che i TdG credono Gesù abbia detto e intendesse). Il nostro autore invece dà per scontato, e infatti chiede retoricamente ai lettori, come mai Gesù non si sia limitato a dire che prima di Abramo lui “c’era”, e invece abbia scelto proprio “io sono”, che non significa “io ero”. Questa citazione di un madrelingua mi sembra da sola più importante di tutti gli esegeti moderni malamente scopiazzati (e quasi mai compresi) che i TdG, che il greco non lo sanno, affastellano per cercare di picconare la propria resa.

Un altro motivo per cui questa citazione del Crisostomo è di capitale importanza è che nel punto in cui afferma che Gesù si è definito come il Padre, ossia “ego eimi”, per parlare di Es 3,14 Crisostomo non dice che Dio lì Yhwh si sia definito “ho on” ma che si è definito “eimi”.

Insomma, Crisostomo ci sta dicendo che in Es 3,14 Dio s’è definito “eimi”, sebbene nella LXX ci sia scritto invece “ho on”, segno che, come v’ho sopra spiegato, le due formula per lui sono equivalenti perché “ego eimi” usato in forma assoluta dà la stessa idea di atemporalità: «“il Padre, per farsi conoscere, si è servito di questa espressione “io sono” [eimi]».

L’idea dunque che il richiamo all’Es 3,14 di Gv 8,58 sia solo un’illusione creata dalle traduzioni odierne, un’illusione percepibile solo in italiano qualora si scelga di rendere i due versetti con “io sono”, è priva di fondamento: anche in latino, ma soprattutto in greco, dove i due versetti venivano letti in originale, il parallelo veniva percepito, questo perché l'ho on dei LXX e l'ego eimi di Gv, se messo in quella posizione isolata e dopo πρν γενέσθαι, significano esattamente la stessa cosa, danno la stessa idea di atemporalità.

Né ovviamente ha senso citare gli altri casi di “ego eimi” nel Vangelo di Giovanni per depotenziare quello di Gv 8,58: non si vede cosa c’entrino. Se c’è scritto da qualche nei Vangeli parte “io sono la porta” in questo caso “sono” è la copula di un predicato nominale, ma il verbo essere di Gv 8,58 non è affatto una copula, infatti in Gv 8,58 essere ha funzione verbale e non copulativa, significa “esistere”, e non c’entra nulla cogli altri predicati nominali, anche perché la sua particolarità è di essere isolato.

Per riassumere l’autore del Vangelo di Giovanni trasforma il nome divino “ho on” della LXX nell’“ego eimi” di Gv 8,58 sia perché sarebbe stato impossibile usare “ho on” in quella frase senza perdere il soggetto, sia perché “ego eimi” all’interno di quella volutamente errata consecutio temporum del versetto esprime esattamente lo stesso concetto di “ho on”, ossia l’eternità del presente e la non relatività (passata o futura) rispetto ad altri eventi della storia.

Il predicato “ho on” della LXX nel costrutto “ego eimi ho on” non poteva che diventare, in Gv 8,58, un ego eimi, usato in contrapposizione con πρν βραμ γενέσθαι (prin Abraam genesthai).

Le argomentazioni dei TdG


Ecco come la Società Torre di Guardia (WTS) giustifica la traduzione del passo nell’Appendice della TNM con riferimenti del 1987 (link):

6F Gesù — In esistenza prima di Abraamo
Gv 8:58 — “Prima che Abraamo venisse all’esistenza, io ero”
Gr. πρὶν ᾿Αβραὰμ γενέσθαι ἐγὼ εἰμί
(prin Abraàm genèsthai egò eimì)

IV-V secolo
“prima che Abraamo fosse, io sono stato”
Siriaca   curetoniana, ed. The Curetonian Version of the Four Gospels, a   cura di F. Crawford Burkitt, vol. 1, Cambridge (Inghilterra), 1904.

V secolo
“prima che Abraamo venisse all’esistenza, io ero”
Siriaca, ed. A Translation of the Four Gospels from the Syriac of   the Sinaitic Palimpsest, di Agnes Smith Lewis, Londra, 1894.

V secolo
“prima che Abraamo esistesse, io ero”
Pescitta siriaca, ed. The Syriac New Testament Translated into English from   the Peshitto Version, di James Murdock, VII ed., Boston e Londra,   1896.

V secolo
“prima che Abraamo venisse all’esistenza, io ero”
Georgiana, ed. The Old Georgian Version of the Gospel of John, di   Robert P. Blake e Maurice Brière, pubblicato in “Patrologia Orientalis”,   vol. XXVI, fascicolo 4, Parigi, 1950.

VI secolo
“prima che Abraamo nascesse, io ero”
Etiopica,   ed. Novum   Testamentum . . . Æthiopice, di Thomas Pell Platt,   riveduto da F. Praetorius, Lipsia, 1899.

L’azione espressa in Gv 8:58 iniziò “prima che Abraamo venisse all’esistenza” ed è ancora in corso. In tale contesto εἰμί (eimì), prima persona singolare del presente indicativo, si può correttamente tradurre con un tempo passato come l’imperfetto indicativo o il passato prossimo. Esempi della stessa costruzione sintattica si trovano in Lu 2:48; Gv 5:6; 14:9; 15:27; At 15:21; 2Co 12:19; 1Gv 3:8.

Riguardo a questa costruzione A Grammar of the Idiom of the New Testament, di G. B. Winer, VII ed., Andover, 1897, p. 267, dice: “Alcune volte il Presente include anche un tempo passato (Mdv. 108), come quando il verbo esprime uno stato iniziato in precedenza ma che continua ancora, uno stato nella sua durata; come Gv. xv. 27 ἀπ’ ἀρχῆς μετ’ ἐμοῦ ἐστέ [apʼ archès metʼ emoù estè], viii. 58 πρὶν ᾿Αβραὰμ γενέσθαι ἐγὼ εἰμι [prin Abraàm genèsthai egò eimi]”.

Similmente, A Grammar of New Testament Greek, di J. H. Moulton, vol. III, a cura di Nigel Turner, Edimburgo, 1963, p. 62, dice: “Il Presente che indica la continuazione di un’azione nel passato e fino al momento in cui si parla ha praticamente valore perfettivo, e la sola differenza è che l’azione è concepita come ancora in corso . . . È frequente nel NT [Nuovo Testamento]: Lc 248 . . . Gv 56 858 . . .”.

Tentando di identificare Gesù con Geova, alcuni dicono che ἐγὼ εἰμί (egò eimì) sia l’equivalente dell’espressione ebraica ʼanì huʼ, “io sono lui”, che viene usata da Dio. Comunque, è da notare che questa espressione ebraica è usata anche dall’uomo. — Vedi nt. a 1Cr 21:17.

Inoltre, sempre tentando di identificare Gesù con Geova, alcuni cercano di usare Eso 3:14 (LXX), che dice: ’Εγώ εἰμι ὁ ὤν (Egò eimi ho on), ovvero “Io sono l’Essere”, o “Io sono Colui che esiste”. Questa ipotesi non è sostenibile perché l’espressione di Eso 3:14 è diversa da quella di Gv 8:58. (Vedi nt. a Eso 3:14). In tutte le Scritture Greche Cristiane non è possibile identificare Gesù con Geova come se fossero la stessa persona. — Vedi nt. a 1Pt 2:3; App. 6A, 6E.

Analizziamo punto per punto queste argomentazioni.

Le versioni Siriaca, Georgiana ed Etiopica del IV-VI secolo.

La WTS cita alcune antiche traduzioni in lingua siriaca ed etiopica per supportare la sua traduzione “io sono stato” o “io ero”. Tale argomentazione è irrilevante, per una serie di motivi:

1) Non ha senso sostenere che se qualcuno ha tradotto in un modo, allora quella traduzione sia lecita. La Bibbia è stata tradotta da chiunque e nei modi più svariati. Ci si dovrebbe basare sulle argomentazioni pro o contro una particolare traduzione, piuttosto che mettersi ad enumerare chi ha tradotto in un modo anziché in un altro. Ma se proprio si vuole basare un’argomentazione sulle traduzioni altrui, com’è possibile allora nascondersi che la quasi totalità delle versioni traduce con “io sono”, e dunque è quella la traduzione che la maggioranza dei traduttori, antichi e moderni, ha trovato corretta? Se proprio vogliamo fare un discorso di numeri, perché dovremmo dare retta alla TNM perché riesce a trovare col lanternino un numero di traduzioni che si contano sulle dita di una o due mani, e dimentichiamo invece che centinaia traducono con “io sono”?

2) Questo confronto con traduzioni antiche in siriaco, georgiano, e addirittura etiopico, non significa assolutamente nulla. Ogni lingua infatti ha un sistema verbale ed un uso dei tempi completamente diverso, così come è già diversissimo l’uso dei tempi tra italiano e inglese. Prendiamo il primo caso citato: abbiamo a che fare con una traduzione dal greco del NT fatta in siriaco, e poi da siriaco all’inglese, e poi questa traduzione in inglese che era stata citata sulla NWT americana è stata tradotta in italiano quando hanno fatto al TNM.

Che cosa dovrebbe significare quel “io ero” che trovo scritto e viene attribuito alla traduzione “Siriaca, ed. A Translation of the Four Gospels from the Syriac of the Sinaitic Palimpsest”?

In italiano c'è un imperfetto, ma in inglese l’imperfetto non esiste, non hanno proprio il tempo corrispondente, quindi è impossibile che nell'originale inglese ci sia un imperfetto. Se si va a vedere l’originale inglese dell'Appendice della NWT infatti c’è altro: “before Abraham was, I have been” (link)



A translation of the four Gospels, from the Syriac of the Sinaitic palimpsest by Lewis, Agnes Smith, 1843-1926.

Non si possono mischiare così le cose, perché i discorsi e le citazioni fatte per salvare la traduzione di un tempo scelto dalla NWT americana non necessariamente vanno bene per difendere la traduzione scelta per l’italiano. Ad esempio l’Appendice prosegue dicendo che il tempo presente greco può esprimere uno stato iniziato nel passato ma che perdura ancora oggi nel presente. Ora, questa funzione attribuita al presente greco trova una corrispondenza nella funzione del tempo verbale usato dalla NWT americana, perché nel testo inglese c’è un present perfect: I have been. Ma questa funzione tipica del present perfect inglese, ossia un'azione o una situazione iniziata nel passato che continua nel presente, non corrisponde con la funzione dell’imperfetto in italiano.

C’è di più: io non conosco il siriaco, che è un “dialetto” dell’aramaico, ma ho studiato nella mia vita altre due lingue semitiche, ossia l’ebraico (a livello universitario) e l’arabo (in maniera amatoriale). Ebbene, in queste due lingue non esiste un corrispettivo del nostro verbo essere al presente (questo non vuol dire che non esistano altri tempi che possano a volte essere tradotti come un presente italiano, ma il presente di “essere” propriamente parlando non esiste). Dunque se il siriaco e l’etiopico, che sono lingue semitiche, non rendono col presente, può darsi che ciò dipenda banalmente dal fatto che questo tempo non esiste proprio in questi idiomi.

Quindi queste traduzioni sono state costrette o a rendere con un passato, oppure a ricorrere a perifrasi. Non si può dunque portare come prova a favore della propria traduzione inglese il fatto che una versione siriaca non scelga il presente, come se avesse avuto questa scelta ma poi avesse optato per il passato. Direi che, non esistendo la possibilità per tutte le traduzioni elencate di tradurre con un presente, tutte quelle versioni si possono cestinare perché inutili ai fini della nostra discussione.

Quando si parla di tempi verbali, sarebbero da cestinare anche le traduzioni inglesi, di qualsiasi tipo, perché il sistema verbale dei tempi inglesi non funziona come il nostro e dunque una traduzione dei tempi verbali greci in inglese ed una traduzione in italiano difficilmente sono raffrontabili (se non facendo mille ragionamenti che anche un linguista farebbe fatica a maneggiare). Di traduzioni inglesi, lingua in cui l’imperfetto non esiste, per difendere una traduzione con l’imperfetto italiana, ce ne facciamo veramente poco.

Il problema è che queste parole messe in bocca a Gesù non risalgono al Gesù storico, come del resto gran parte dei discorsi del Vangelo di Giovanni. Si tratta di una frase costruita in greco, e che è possibile solo in una lingua che ha il verbo essere al presente, e che per di più sta palesemente facendo il verso ad un altro testo greco, ossia Es 3,14 della LXX greca (sul perché ritengo ci sia un richiamo all’Esodo nonostante “ego eimi” non sia “ho on” si veda sopra).

Oltre alle due versioni in siriaco e a quella in etiopico l’appendice della NWT cita anche una versione in georgiano del V secolo, una lingua cartvelica, dunque di un gruppo linguistico lontanissimo dal nostro, e che non ho la minima idea di come organizzi il sistema dei tempi verbali. In assenza di questi dati, anche ammesso che il traduttore georgiano del V secolo abbia fatto un buon lavoro, mi sembra superfluo discutere.

La WTS continua:

εἰμί (eimì), prima persona singolare del presente indicativo, si può correttamente tradurre con un tempo passato come l’imperfetto indicativo o il passato prossimo. Esempi della stessa costruzione sintattica si trovano in Lu 2:48; Gv 5:6; 14:9; 15:27; At 15:21; 2Co 12:19; 1Gv 3:8.”

Ma dove lo vedono lo stesso costrutto? E’ un mistero. Il motivo per cui questo presente è anomalo è che, come notava Giovanni Crisostomo nel passo sopramenzionato, c'è un errore di consecutio temporum rispetto alla subordinata temporale antecedente col “πρὶν Ἀβραὰμ γενέσθαι” (prima che Abramo fosse). I testi citati dalla WTS non c’entrano nulla e non hanno questa anomalia che fu notata anche dai Padri greci.

Essi sono citati dalla WTS perché sono casi di presente greco in cui l’azione iniziata nel passato perdura nel presente, ma questi verbi sono isolati e non sono preceduti da una subordinata temporale con πρὶν. Ad esempio la prima citazione da Lc 2:48 dice: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ora, quel “cercavamo”, reso in italiano con un imperfetto, in greco è un presente indicativo. Ma questo è normale, e va benissimo con la sintassi greca. Ma per avere un parallelo con l’anomalia che si crea in Gv 8:58 avrebbe dovuto esserci scritto “Figlio, prima che tu sparissi, io ti cerco”. Ovviamente tutti ci chiederemmo perché dopo quel “prima che tu sparissi” ci sia un presente, visto che in greco ci vorrebbe un imperfetto, un perfetto, o comunque un altro tempo che esprima l’anteriorità della principale. Ed è lo stesso che si chiede infatti Giovanni Crisostomo, che cito nuovamente: “Ma perché mai Gesù non ha detto “Prima che Abramo fosse, io ero” [γ μην] anziché “io sono” [γ εμί]? Come il Padre, per farsi conoscere, si è servito di questa espressione “io sono” [εμί], così fa anche Cristo. Questa parola significa che egli è eterno, senza fissare nessun tempo particolare”. (Omelie su Giovanni, 55, 324)

Questa citazione è molto utile perché mostra come per un grecofono fosse impossibile capire quello che invece i TdG si illudono Cristo volesse intendere. I TdG dicono che Gesù voleva dire che semplicemente lui c'era prima di Abramo, invece qui un madrelingua greco ci viene a dire che si stupisce del fatto che Gesù non abbia detto quello, ma altro. Segno che il presente in quel costrutto non può significare quel che i TdG dicono.

L'Appendice continua:

“Dio e Gesù non sono identificabili perché l'espressione γὼ εμί (egò eimì), che secondo alcuni è l’equivalente dell’espressione ebraica ʼanì huʼ, “io sono lui”, viene usata da Dio ma anche in relazione agli uomini (1Cr 21:17).

Qui non mi interessa rispondere, perché io non credo che Gesù qui si stia rifacendo all’ʼanì huʼ (es Is 41,4).

“L'espressione di Eso 3:14 (LXX), che dice: ’Εγώ εμι ὤν (Egò eimi ho on), ovvero “Io sono l’Essere”, o “Io sono Colui che esiste”, è diversa da quella di Gv 8:58.”

A questa obiezione viene risposto all'inizio di questa pagina, dal punto in cui si legge: “L’obiezione, in vero non molto profonda e ragionata, che il nome divino in Es 3,14 è ν (ho on) e non γώ εμι (ego eimi), è priva di fondamento.

Comunque che un testo richiami l'altro non è, come ripeto, un'allucinazione indotta dalle traduzioni italiane moderne, ma qualcosa che fu notato già dai Padri della Chiesa madrelingua greci, e questo perché tanto “l'essente” dei LXX quanto “ego eimi” in quel costrutto giovanneo esprimono l'atemporalità e la mancanza di posteriorità o anteriorità rispetto a qualcosa.

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Il materiale di questa pagina è stato tratto dalla discussione
avvenuta nel forum Infotdgeova nel mese di luglio 2019: link.
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Altro articolo in cui la WTS difende la traduzione "io sono stato"
(resa "io c'ero" nella TNM del 2017)


Domande dai lettori 1° aprile 1958, pp. 222,223.

Giovanni 8:58, secondo la Versione Riveduta, dice: “In verità, in verità vi dico: Prima che Abramo fosse nato, io sono”. Ma la Traduzione del Nuovo Mondo dichiara: “Gesù disse loro: ‘Verissimamente io vi dico: Prima che Abrahamo fosse venuto all’esistenza, io sono stato’”. Perché la Traduzione del Nuovo Mondo usa “io sono stato” invece di “io sono”? — R. B., Stati Uniti.

Il verbo greco usato qui, eimì, è letteralmente al tempo presente, ma poiché è preceduto da un infinito aoristo che si riferisce al passato di Abrahamo, il verbo greco eimì deve essere considerato un presente storico. A proposito del presente storico la Greek Grammar di Hadley e Allen (inglese) dice nella sezione 828: PRESENTE STORICO. — Nella narrazione vivace, un avvenimento passato è spesso considerato ed espresso al presente: . . . In questo uso il presente è liberamente sostituito ai tempi passati . . ”.

A Grammar of the Greek New Testament in the Light of Historical Research (inglese) di A. T. Robertson, nel capitolo “Il presente storico”, pagine 866-869, dice: “Questa vivace espressione è popolare in tutte le lingue, specialmente nel dialetto. . . . è molto più frequente in greco che in inglese ed è una sopravvivenza del ‘ceppo originale delle nostre lingue’. ‘Esso precede la data dell’uso dell’imperfetto e aoristo’. . . . È abbastanza comune nei LXX [Versione dei Settanta], . . . Hawkins trova 337 volte il presente storico nei LXX. Anche Giuseppe Flavio lo usa. Gli esempi del Nuovo Testamento sono quindi ‘drammatici’. Il presente storico non è sempre aoristico. Potrebbe essere continuativo come l’imperfetto. . . . Hawkins . . . trova 93 presenti storici in Matteo (15 di questi nelle Parabole), ma 162 in Giovanni e 151 in Marco. È raro nel resto del Nuovo Testamento. È molto frequente in Marco, Giovanni, Matteo e in quest’ordine. . . ”.

Se esaminerete la Traduzione del Nuovo Mondo troverete che escluso il libro finale di Apocalisse il presente storico non è reso come tale nella traduzione, ma se il contesto lo richiede il presente storico è tradotto al passato. Spesso nelle Bibbie italiane il presente storico è tradotto con tempi passati come in Giovanni 1:29-42 ed anche Marco 1:12, 13. Per un esempio di come il greco mischia il presente storico con i tempi passati, si veda Giovanni capitolo 20 nella traduzione di Marco Sales O.P.

I migliori traduttori moderni della Bibbia riconoscono che un presente storico greco in un contesto al tempo passato è tradotto appropriatamente con un tempo passato. Il dottor James Moffatt faceva parte del Comitato della Versione Standard Riveduta della Bibbia, e notate come traduce Giovanni 8:58 nella sua versione (inglese):” ‘Veramente, veramente io vi dico’, disse Gesù, ‘Io sono esistito prima che Abrahamo nascesse’”.

Il professor E. J. Goodspeed era membro del Comitato della Bibbia Standard Americana, e la sua traduzione inglese rende Giovanni 8:58 nel seguente modo: “Gesù disse loro: ‘Io vi dico, io esistevo prima che Abrahamo nascesse!’”

Notate altre traduzioni:

The New Testament (inglese) di Charles Williams: “Quindi Gesù disse loro: ‘Nel modo più solenne vi dico: Io esistevo prima che Abrahamo nascesse’”.
“The Four Gospels” According to the Sinaitic Palimpsest (inglese) di A. S. Lewis: “Egli disse loro: Veramente, veramente, io vi dico: Prima che Abrahamo fosse, io sono stato”.
The Twentieth Century New Testament (inglese): “‘Credetemi’, Gesù rispose, ‘prima che Abrahamo nascesse io ero già quel che sono’”.
The Modern New Testament (inglese) di G. M. Lamsa: “Gesù disse loro: Veramente, veramente, io vi dico: Prima che Abrahamo nascesse, io ero”.
The Syriac New Testament (inglese) di James Murdock: “Gesù disse loro: Veramente, veramente, io vi dico, che prima che Abrahamo esistesse, io ero”.
Das Neue Testament (tedesco) di F. Pfaefflin: “Gesù: ‘Prima che ci fosse un Abrahamo, io ero già là [war ich schon da]!’”
Das Neue Testament (tedesco) di C. Stage: “Gesù disse loro: ‘Veramente, veramente, io vi dico: Prima che Abrahamo nascesse, io ero [war ich]’”.
Nuevo Testamento (spagnolo) di Nácar Colunga: “Gesù rispose: ‘In verità, in verità, io vi dico: Prima che Abrahamo nascesse, io ero [era yo]’”.
Il Nuovo Testamento Ebraico di F. Delitzsch e quello di Salkinson-Ginsburg entrambi hanno il verbo al passato prossimo “io sono stato” (haiithi) invece che all’imperfetto.

Da quanto sopra si può vedere che la Traduzione del Nuovo Mondo è coerente nella traduzione del presente storico traducendo Giovanni 8:58 “io sono stato” invece di “io sono”. Poiché Gesù si riferiva ad un’esistenza precedente ad Abrahamo e che continuava mentre egli parlava, la Traduzione del Nuovo Mondo ha reso egò eimì “io sono stato” invece di “io ero”.

Qualora qualsiasi critico clericale cercasse di accusare d’inaccuratezza la Traduzione del Nuovo Mondo in Giovanni 8:58, accuserebbe non solo questa ma anche tutti questi altri studiosi, inglesi, tedeschi e altri, d’essere inaccurati. Egli ha diritto di prendere e accettare la versione che preferisce a causa della tendenza verso una dottrina religiosa, in questo caso la trinità, tuttavia si dovrebbe riconoscere che la Traduzione del Nuovo Mondo è abbondantemente sostenuta per la sua versione di Giovanni 8:58 da autorevoli, rinomati traduttori.

Risposta di "Polymetis" nel forum Infotdgeova (link)

Devo dire che la lettura di questo articolo mi ha dato il mal di testa, perché mi sembra che affastelli una notevole serie di incomprensioni su molteplici piani. In primo luogo c'è il problema della traduzione dal greco all'inglese, in secondo luogo c'è il problema della traduzione dall'inglese all'italiano. Per dirla in maniera molto schietta tutto l'articolo nella sua versione italiana è da buttare. Con questo intendo dire quest'articolo è stato scritto per difendere la resa nella NWT americana, la quale rende col present perfect "I have been". I traduttori italiani hanno fatto salti mortali per adattare questo articolo inglese alla traduzione italiana con l'imperfetto, ossia "io ero", ma questa è un'operazione priva di senso. Il sistema verbale dell'inglese e quello dell'italiano non sono sovrapponibili, e, laddove esista una sovrapponibilità a livello di costruzione dei verbi, questa non implica che ad una similarità di strutture corrisponda una similarità di usi. La verità è che i tempi inglesi e quelli italiani sono diversi e si usano per fare cose diverse.

In primis in inglese l'imperfetto non esiste, quinti tutti gli articoli che difendono una qualsivoglia traduzione inglese sono inapplicabili alla difesa della TNM italiana. Difendere una traduzione col present perfect non ha nulla a che vedere con la difesa di una traduzione italiana con l'imperfetto. Tutte le citazioni di altre Bibbie inglesi sono da cestinare, per la banalissima ragione che, nonostante quello che leggete, nessuna di essa può aver tradotto con un imperfetto.

Il present perfect ha come primo scopo di parlare di un'azione iniziata nel passato che continua ancora nel presente es. "I have lived in London since 2001"/"vivo a Londra dal 2001" (= e ci vivo ancora). Ora, questo non è l'uso comune dell'imperfetto in italiano, che solitamente indica un'azione del passato, e terminata nel passato, ma con una durata, es. "Nel 2001 vivevo a Londra" (vuol dire che la tua residenza a Londra è durata un po', ma adesso non ci vivi più, quindi l'azione è terminata).

La rivista succitata però non traduce come la TNM italiana, cioè con un imperfetto, ma con un passato prossimo italiano, ossia "io sono stato". Insomma, l'articolo italiano difende una traduzione che non è quella della TNM italiana.

Questo è il caso di corrispondenza formale di cui parlavo, a cui non corrisponde però una corrispondenza nell'uso. Il passato prossimo italiano infatti si costruisce con "avere" più il participio passato del verbo (ad es. "io ho mangiato"), e dunque ha la stessa costruzione di "I have been", che è costruito con "to have" più il participio passato del verbo. Questa identità di costruzione però non comporta un'identità nell'uso. Il passato prossimo in italiano si usa per indicare un'azione compiuta, cioè terminata, accaduta in un passato recente. Quest'uso dunque non è l'uso del present perfect inglese che come ripeto indica invece un'azione del passato che continua nel presente. Si può ben dire che la traduzione migliore del present perfect sia non il passato prossimo italiano ma il presente.

E' vero che anche il present perfect può indicare in alcuni casi azioni concluse nel passato, ma queste casistiche non si applicano a Gv 8,58, infatti si tratta dell'uso del present perfect per indicare azioni ripetute e abituali: "We have visited Italy several times." (abbiamo visitato l'Italia molte volte), oppure azioni appena concluse (ma in questo caso c'è l'avverbio just): "I have just finished my work" (ho appena finito il mio lavoro)

Nessuna di queste due casistiche si applica a Gv 8,58 come tradotto dalla NWT americana.

Ciò detto, come già spiegato, l'articolo mi ha fatto venire il mal di testa, perché mi pare segni un cambiamento di strategia nella difesa della WTS.

Infatti in passato scrivevano, in inglese, che Gv 8,58 andava tradotto col present perfect perché il presente greco indicherebbe un'azione iniziata nel passato e che continua nel presente (cosa che, come ripeto, non poteva in alcun modo giustificare la resa con l'imperfetto italiano):

"The action expressed in John 8:58 started “before Abraham came into existence” and is still in progress. In such situation εἰμί (ei-mi’), which is the first-person singular present indicative, is properly translated by the perfect indicative. Examples of the same syntax are found in Luke 2:48; 13:7; 15:29; John 5:6; 14:9; 15:27; Acts 15:21; 2 Corinthians 12:19; 1 John 3:8.

Concerning this construction, A Grammar of the Idiom of the New Testament, by G. B. Winer, seventh ed., Andover, 1897, p. 267, says: “Sometimes the Present includes also a past tense (Mdv. 108), viz. when the verb expresses a state which commenced at an earlier period but still continues, – a state in its duration; as Jno. xv. 27 ἀπ᾽ ἀρχῆς μετ᾽ ἐμοῦ ἐστε [ap’ ar-khes’ met’ e-mou’ e-ste’], viii. 58 πρὶν Ἀβραὰμ γενέσθαι ἐγὼ εἰμι [prin A-bra-am’ ge-ne’sthai e-go’ ei-mi].”

Likewise, A Grammar of New Testament Greek, by J. H. Moulton, Vol. III, by Nigel Turner, Edinburgh, 1963, p. 62, says: “The Present which indicates the continuance of an action during the past and up to the moment of speaking is virtually the same as Perfective, the only difference being that the action is conceived as still in progress . . . It is frequent in the N[ew] T[estament]: Lk 2:48 13:7 . . . 15:29 . . . Jn 5:6 8:58 . . .” (Dall'appendice della NWT del 1985)

Ebbene, il brano succitato, almeno nella sua versione italiana, cambia strategia. Infatti essa ci dice, probabilmente contando sul fatto che i suoi lettori non sappiano di che cosa si sta parlando, che quel eimi di Gv 8,58 è un presente storico. Orbene, il presente storico non ha nulla a che fare con azioni iniziate nel passato che hanno effetti ancora nel presente. Il presente storico si usa per indicare eventi morti e sepolti che appartengono al passato, e però li si racconta al presente, per conferire vivacità alla narrazione. Visto che esiste anche in italiano non richiede nessuno sforzo per essere compreso. A tutti voi è capitato di sentire: "Nel 58 a.C. Cesare attacca la Gallia", oppure "dopo la sconfitta della Russia, la Germania attacca la Francia e dà inizio alle ostilità su un secondo fronte", o ancora "Nel 1815 Napoleone fugge dall'isola d'Elba e, tornato a Parigi, ricostituisce il suo esercito". Sto usando il presente per movimentare la narrazione, ma gli eventi sono passati. Quest'uso è anche dell'inglese, cito da wikipedia per comodità, ma qualsiasi grammatica va bene: "In linguistics and rhetoric, the historical present or historic present, also called dramatic present or narrative present, is the employment of the present tense when narrating past events."

Questa linea di argomentazione dunque è completamente diversa da quella presentata nell'appendice della NWT del 1985, la quale invece parla dell'uso del present perfect per indicare un'azione del passato che continua nel presente. Direi dunque che le prime 25 righe circa dell'articolo, che descrivono quest'uso del presente storico, siano puro fumo negli occhi. Le grammatiche che citano non stanno parlando di Gv 8,58 e soprattutto non c'entrano nulla con la possibilità di rendere con un present perfect inglese.

Comunque tutto l'inganno dell'articolo sta nella prima riga, ossia quando dice "Il verbo greco usato qui, eimì, è letteralmente al tempo presente, ma poiché è preceduto da un infinito aoristo che si riferisce al passato di Abrahamo".

Questa frase non significa nulla. Nessuno infatti ha un dubbio sul fatto che il verbo eimi si riferisca al passato di Abramo, ma è molto diverso dire che in quel passato "Gesù è" oppure "Gesù era". Se dico "prima di Abramo, Gesù è" introduco un errore di consecutio temporum, cioè un errore nell'ordine in cui normalmente andrebbe costruita la sequenza dei verbi della frase. Infatti non esiste altrove in greco quella sequenza, cioè prin+infinito aoristo + presente indicativo, e non esiste perché è un errore, o meglio, è qualcosa che non si potrebbe applicare a nessun altro fuorché Dio. Per un essere atemporale infatti, oltre a dire che "lui era", si può dire anche che "lui è" prima di Abramo. La costruzione greca è dunque senza altri paralleli, così come è senza paralleli in italiano la costruzione che vedete nella traduzione della CEI, e questo perché il presente può andare bene solo se si fa una violazione della consecutio temporum proprio per parlare di Dio. Altrimenti noi italiani, come i greci del resto, farebbero seguire un imperfetto: "prima che tu fossi a Pesaro, io ero a Urbino", se dico "prima che tu fossi a Pesaro, io sono ad Urbino" la costruzione è sbagliata, in greco come in italiano. O, per meglio dire, è giusta se e solo se usi questa stortura grammaticale per dare a intendere che l'essere di cui parli è eterno presente.

Per questo vi invito a leggere la parte inziale di questa pagina, dove si cita il parere di Giovanni Crisostomo, che la sua lingua madre la conosceva bene. Il Crisostomo si chiede perché, se Gesù avesse semplicemente voluto dire che lui c'era prima di Abramo, non ha usato l'imperfetto. Infatti, come vi ripeto, quella costruzione vorrebbe l'imperfetto in greco. Crisostomo qui è formidabile perché ci dice che, leggendo il presente anziché l'imperfetto, non si capisce quello che i TdG invece pensano di capire. Quella costruzione cioè non può voler semplicemente dire che Gesù esisteva prima di Abramo, altrimenti ci sarebbe stato un regolare imperfetto, come Giovanni Crisostomo annota. Se i TdG sono convinti che quella costruzione sia normale ed innocua perché non ne producono altre identiche nel resto della letteratura greca?

Non sto parlando ovviamente degli sciocchi esempi che fa la WTS dove ci sono dei presenti che, in traduzioni inglesi o italiani, vengono resi con dei passati. Queste citazioni non hanno nessuna rilevanza. Anche in italiano, come ripeto, il presente può includere il passato, es: "sono a Roma da 10 anni". Quello che non ha paralleli non è tanto il fatto che il presente venga tradotto col passato, ma il fatto che ci sia il presente dopo quel prin+infinito nella subordinata temporale. E' quello che crea l'effetto straniante sia in greco che in italiano, ossia lo stesso effetto che avremmo noi leggendo "prima che tu fossi a Roma, io sono a Bergamo" anziché "prima che tu fossi a Roma, io ero a Bergamo".

In sintesi:

  1. Gli articoli inglesi per difendere la traduzione con present perfect sono inutili per difendere la traduzione italiana con l'imperfetto. Il sistema verbale inglese non c'entra nulla con quello italiano, il present perfect non ha le stesse funzioni dell'imperfetto italiano. I grammatici inglesi citati dalla WTS non hanno nulla da dire sull'imperfetto italiano.
  2. Disquisire di che cosa sia un presente storico per giustificare una traduzione col present perfect è insensato. Il presente storico si usa per parlare usando il presente di eventi passati e compiuti. Di nuovo, non c'entra nulla con una traduzione col present perfect volta ad indicare un'azione del passato che continua nel presente.
  3. Le citazioni fatte dalla WTS di presenti greci traducibili col passato che affiorano qua e là nel Nuovo Testamento sono irrilevanti. Nessuno nega che a volte il presente si possa e debba tradurre con tempi passati. La peculiarità di questo presente in Gv 8,58 sta nel fatto che non è isolato ma è all'interno di un costrutto che indica una priorità temporale di Gesù che avrebbe richiesto l'imperfetto, in greco come in italiano, e che invece vede impiegato un presente appositamente stonato.
  4. Quello che i TdG si illudono di leggere in quel versetto è smentito da Giovanni Crisostomo, che la propria lingua madre la conosceva, e, come dice il nome (ossia bocca d'oro), era anche un virtuoso di questo idioma, il quale ci dice proprio che non si spiega perché l'evangelista abbia usato il presente anziché l'imperfetto se avesse solo voluto dire che Gesù esisteva prima di Abramo.
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Le traduzioni citate dalla Società Torre di Guardia

A cura di Achille Lorenzi

Nella “Domanda dei lettori” del 1° aprile 1958, p. 223, la WTS cita un certo numero di traduzioni che e legittimerebbero la traduzione di ego eimì con “io sono stato” e “io ero”, anziché “io sono”. Ecco l’elenco di tali traduzioni:

The New Testament (inglese) di Charles Williams: “Quindi Gesù disse loro: ‘Nel modo più solenne vi dico: Io esistevo prima che Abrahamo nascesse’”.

“The Four Gospels” According to the Sinaitic Palimpsest (inglese) di A. S. Lewis: “Egli disse loro: Veramente, veramente, io vi dico: Prima che Abrahamo fosse, io sono stato”.

The Twentieth Century New Testament (inglese): “‘Credetemi’, Gesù rispose, ‘prima che Abrahamo nascesse io ero già quel che sono’”.

The Modern New Testament (inglese) di G. M. Lamsa: “Gesù disse loro: Veramente, veramente, io vi dico: Prima che Abrahamo nascesse, io ero”.

The Syriac New Testament (inglese) di James Murdock: “Gesù disse loro: Veramente, veramente, io vi dico, che prima che Abrahamo esistesse, io ero”.

Das Neue Testament (tedesco) di F. Pfaefflin: “Gesù: ‘Prima che ci fosse un Abrahamo, io ero già là [war ich schon da]!’”

Das Neue Testament (tedesco) di C. Stage: “Gesù disse loro: ‘Veramente, veramente, io vi dico: Prima che Abrahamo nascesse, io ero [war ich]’”.

Nuevo Testamento (spagnolo) di Nácar Colunga: “Gesù rispose: ‘In verità, in verità, io vi dico: Prima che Abrahamo nascesse, io ero [era yo]’”.

Il Nuovo Testamento Ebraico di F. Delitzsch e quello di Salkinson-Ginsburg entrambi hanno il verbo al passato prossimo “io sono stato” (haiithi) invece che all’imperfetto.
         
Il fatto che vi siano alcune traduzioni – una minoranza, visto che la quasi totalità delle traduzioni rende ego eimì con “io sono” – non legittima in alcun modo la traduzione della TNM. E’ come se dicessero: “Non siamo i soli a sbagliare”.

Andando nel dettaglio, possiamo fare le seguenti osservazioni:

The New Testament (inglese) di Charles Williams: “Quindi Gesù disse loro: ‘Nel modo più solenne vi dico: Io esistevo prima che Abrahamo nascesse’”.

Questa, più che una traduzione, è una parafrasi. Non c’è un’aderenza esatta al testo greco, come viene riconosciuto dagli eruditi biblici: “... è troppo spesso parafrastica, e il suo trattamento dei tempi greci è troppo irregolare, perché serva come base affidabile per uno studio accurato”. (link) Per cui questa traduzione deve essere esclusa dall’elenco.

“The Four Gospels” According to the Sinaitic Palimpsest (inglese) di A. S. Lewis: “Egli disse loro: Veramente, veramente, io vi dico: Prima che Abrahamo fosse, io sono stato”.

The Syriac New Testament (inglese) di James Murdock: “Gesù disse loro: Veramente, veramente, io vi dico, che prima che Abrahamo esistesse, io ero”.

Il Nuovo Testamento Ebraico di F. Delitzsch e quello di Salkinson-Ginsburg entrambi hanno il verbo al passato prossimo “io sono stato” (haiithi) invece che all’imperfetto.    

Un commento su queste traduzioni e altre che si basano sulle versioni in lingue antiche, è stato fatto sopra, al punto Le versioni Siriaca, Georgiana ed Etiopica del IV-VI secolo. Non si possono quindi usare queste traduzioni per confermare la correttezza di una traduzione fatta sul testo greco. Quindi anche queste versioni si possono tranquillamente escludere.

The Twentieth Century New Testament (inglese): “‘Credetemi’, Gesù rispose, ‘prima che Abrahamo nascesse io ero già quel che sono’”.

Questa traduzione venne fatta da un gruppo di volontari. Ecco come l’erudito biblico Bruce Metzger li descrive:

«... Malan, come segretario del progetto, ha chiesto a ciascuno di fornire una bozza autobiografica che servisse da introduzione a tutti gli altri. Quindici di queste bozze sono conservate tra i giornali, e da essi si può apprezzare la diversità di background dei traduttori. Il reverendo Henry Bazett si descrisse come un ex curato ugonotto, sebbene fosse stato ordinato nella Chiesa d'Inghilterra. Thomas Sibley Boulton, che aveva solo vent'anni, aveva abbracciato il socialismo e aveva scritto del suo desiderio di "una riunione del cristianesimo". WM Copeland, che era un preside istruito ad Aberdeen, si definiva "un radicale in politica e religione". WM Crook, il figlio maggiore di un ministro irlandese del Wesley, era un master in classici al Trinity College di Dublino. A ventun anni, la cattiva salute ha causato il suo ritiro temporaneo. In seguito divenne docente per il National Liberal Club. Il reverendo ED Girdlestone, a sessantatré anni, era forse il membro più anziano e un fedele collaboratore che pubblicava una serie di articoli, per lo più socialisti. A. Ingram era un presbiteriano, nato ad Aberdeen; ha elencato le occupazioni successive come cowboy, droghiere, drappista, impiegato di avvocato e contabile e giornalista dal 1880. Era un vedovo con tre figli. Il reverendo E. Hampden-Cook, congregazionalista e "ampio evangelico", si era laureato a Cambridge. Nel 1903 preparò la traduzione postuma di Weymouth per la pubblicazione. Oltre alla signora Higgs, l'unica altra donna tra i partner era la signora Sarah Elizabeth Butterworth Mee, che era imparentata con Sir Joseph Butterworth, un emancipazionista. Aveva sposato il ministro wesleyano Josiah Mee e aveva insegnato per vent'anni in una classe della scuola domenicale. La signora Mee, e almeno un altro dei soci, non conoscevano il greco, ma facevano parte del comitato inglese per esaminare la traduzione per il suo linguaggio appropriato. (link: http://www.bible-researcher.com/twentieth.century.html).

In quest’opera di “volontariato” i traduttori hanno fatto una sorta di parafrasi che non rispetta il testo greco. In Giov. 8:58 non c’è scritto “io ero già quel che sono’ ma semplicemente “io sono”. Questa traduzione fa dire a Gesù ciò che Egli non ha detto.

The Modern New Testament (inglese) di G. M. Lamsa: “Gesù disse loro: Veramente, veramente, io vi dico: Prima che Abrahamo nascesse, io ero”.

E anche in questo caso parliamo di una traduzione fatta non dal greco ma dal siriaco. Ecco cosa si legge su G. M. Lamsa nell’edizione inglese di Wikipedia:

George M. Lamsa (siriaco : ܓܝܘܪܓܝܣ ܠܡܣܐ ) (5 agosto 1892 - 22 settembre 1975) è stato un autore assiro. È nato a Mar Bishu in quello che ora è l'estremo est della Turchia . Un madrelingua aramaico, ha tradotto in inglese la Pescitta aramaica Vecchio e Nuovo Testamento. Ha reso popolare l'affermazione della Chiesa assira d'Oriente secondo cui il Nuovo Testamento è stato scritto in aramaico e poi tradotto in greco, contrariamente al consenso accademico.
Bruce Chilton , studioso e eminente aramaico, ha detto:

"Una tendenza ancora meno difendibile confonde l'aramaico del I secolo con il siriaco, una forma diversa della lingua. L'approccio di George Lamsa, che usò la versione siriaca della Pescitta come indice della replica dell'insegnamento di Gesù in aramaico, è stato ripreso e reso popolare da Neil Douglas-Klotz. Questo approccio perpetua intenzionalmente una confusione di base del linguaggio, poiché l'aramaico e il siriaco provengono da secoli e aree diverse (sebbene siano lingue semitiche strettamente correlate) e si basa sul trattamento acritico della pescitta, una versione siriaca dei Vangeli".

Nel 1989, il ministero della ricerca sull'apologetica cristiana evangelica Christian Research Institute affermò in una recensione pubblicata che molte delle posizioni e interpretazioni teologiche di Lamsa non erano supportate dalla Bibbia. La recensione si conclude dicendo:

"In superficie, Lamsa sembra essere un rivelatore della verità e della cultura biblica e un amico del cristianesimo evangelico. Uno studio più attento, tuttavia, ha rivelato che Lamsa promuove insegnamenti metafisici, non evangelici che lo hanno portato a interpretazioni e traduzioni imprecise di parti della Bibbia. …”. (Link).        
 
Non sembra proprio un traduttore affidabile. Anche questa traduzione può quindi essere esclusa dall’elenco.

Sulle due traduzioni in tedesco, che traducono “io ero già là” e “io ero”, non ho trovato informazioni particolari. Comunque in tedesco, come in inglese, l'imperfetto non esiste. La WTS continua a citare traduzioni a caso e fa credere agli italiani che ci sia scritto un imperfetto. Invece in tedesco esiste un tempo che si chiama präteritum, che è insieme passato remoto ed imperfetto. Non ha alcun senso citare traduzioni tedesche e poi fare un confronto fra traduzioni tedesche ed italiane.

Viene poi citata una traduzione in lingua spagnola:

Nuevo Testamento (spagnolo) di Nácar Colunga: “Gesù rispose: ‘In verità, in verità, io vi dico: Prima che Abrahamo nascesse, io ero [era yo]’”.

Anche in questo caso, non viene tradotto alla lettera il greco “ego eimì” ma, evidentemente nel tentativo di rendere maggiormente comprensibile il testo, viene usato un imperfetto che non rende più percettibile quello “strano” presente indicativo che invece compare nel testo greco.

Continuiamo ad esaminare ciò che scrive la “Torre di Guardia” nella “Domanda dei lettori”:

Da quanto sopra si può vedere che la Traduzione del Nuovo Mondo è coerente nella traduzione del presente storico traducendo Giovanni 8:58 “io sono stato” invece di “io sono”. Poiché Gesù si riferiva ad un’esistenza precedente ad Abrahamo e che continuava mentre egli parlava, la Traduzione del Nuovo Mondo ha reso ego eimì “io sono stato” invece di “io ero”.

Nelle nuove traduzioni del 1987 e del 2017 contraddicono questo articolo, in quanto ego eimì è stato tradotto “io ero” e “io c’ero”. Ma non è più corretto rendere “io sono stato”, secondo quanto si legge nella succitata “Torre di Guardia”? Evidentemente i traduttori del 1987 e del 2017 non avevano letto la risposta a questa “Domanda dai lettori”…

Risposta che comunque tocca un punto essenziale: traducendo “io c’ero” è come se l’azione si fosse compiuta nel passato, fosse terminata al tempo di Abraamo: “c’ero allora”. Era più corretto tradurre “io sono stato”, che, come scrive la “Torre di Guardia”, fa pensare ad un’azione che continua nel momento in cui Gesù parla.

La risposta della Società si conclude in questo modo:

Qualora qualsiasi critico clericale cercasse di accusare d’inaccuratezza la Traduzione del Nuovo Mondo in Giovanni 8:58, accuserebbe non solo questa ma anche tutti questi altri studiosi, inglesi, tedeschi e altri, d’essere inaccurati. Egli ha diritto di prendere e accettare la versione che preferisce a causa della tendenza verso una dottrina religiosa, in questo caso la trinità, tuttavia si dovrebbe riconoscere che la Traduzione del Nuovo Mondo è abbondantemente sostenuta per la sua versione di Giovanni 8:58 da autorevoli, rinomati traduttori.

Questo è un errore di logica, stigmatizzato dalla stessa WTS nella Svegliatevi! del 22/5/1990, p. 13:

Far valere il peso dell’autorità. Questa forma di intimidazione verbale consiste nel fare appello alle autorevoli dichiarazioni di cosiddetti esperti o di gente famosa. Certo, è solo naturale chiedere consiglio a chi ne sa più di noi su una cosa. Ma non sempre il ricorso all’autorità si basa sul ragionamento logico.

Abbiamo visto come praticamente tutte le traduzioni citate non possono essere usate per legittimare la traduzione esatta del testo greco di Giov. 8:58. Non è vero quindi «che la Traduzione del Nuovo Mondo è abbondantemente sostenuta per la sua versione di Giovanni 8:58 da autorevoli, rinomati traduttori».

Usando lo stesso argomento della WTS, potremmo anche dire che siccome le traduzioni che rendono il passo in maniera simile alla TNM sono pochissime, mentre la stragrande maggioranza traducono “io sono”, questo dimostrerebbe che la TNM è sbagliata. Ma non è necessario ricorrere a questo errore di logica far valere il peso dell’autorità per giungere a tale conclusione. Le argomentazioni fornite in questa pagina che dimostrano che ego eimì va tradotto “io sono”, sono più che sufficienti, anche senza appellarsi a questa maggioranza assoluta di altre traduzioni.


A proposito di traduzioni...


La Società Torre di Guardia, come si è visto, cita altre traduzioni per cercare di legittimare la sua traduzione “io c’ero”. Il ricorso ad altre traduzioni che supporterebbero la TNM avviene anche in altri casi, come nel cosiddetto “ripristino” del nome “Geova” nel Nuovo Testamento.[4]

E’ interessante notare che una delle traduzioni usate dalla WTS per cercare di legittimare tale “ripristino” – precisamente le “Scritture Greche Cristiane” in 12 lingue di Elias Hutter, Norimberga, 1599-1600 – traduce Giov. 8:58 con “Io sono”.
 
Ecco la riproduzione fotografica del passo di Giovanni 8:53-59


Cliccare per ingrandire



Dettaglio del versetto 58





«Gesù disse loro: “In verità, sì, in verità vi dico: prima che Abraamo nascesse, io c’ero”» (TNM italiana).

«Jesus said to them: “Most truly I say to you, before Abraham came into existence, I have been» (TNM inglese).

La traduzione italiana si discosta dalla traduzione inglese, come si può notare. A questo proposito, trascrivo un commento tratto dal sito “Studi Biblici”[6]:

La traduzione italiana TNM non è una traduzione dai testi originali o indipendente. Essa è fondamentalmente un adattamento in italiano della versione ufficiale in inglese della Torre di Guardia. Non vi sono dei traduttori italiani, perché, al contrario di come accade per tutte le altri confessioni cristiane, non vi è alcuna autonomia dei Testimoni italiani da quelli americani, dai quali dipendono.

Proprio nel caso di Giovanni 8:58, la Watch Tower americana trova delle motivazioni per rifiutare la lettura “io sono” che sono applicabili alla lingua inglese ed a quella soltanto. Infatti, l’originale inglese della TNM utilizza il verbo essere al passato prossimo (perfect indicative), mentre i traduttori italiani utilizzano il tempo imperfetto: ma nel farlo sbagliano la traduzione dall’inglese!

Leggiamo il commento alla propria versione di Giovanni 8:58 della Watch Tower americana – così come sono riportate nell’edizione del 1985 di “The Kingdom Interlinear Translation of the Greek Scriptures”: “The action expressed in John 8:58 started “before Abraham came into existence” and is still in progress. In such situation εἰμι, which is the first-person singular present indicative, is properly translated by the perfect indicative.”

La Torre di Guardia italiana traduce alla meno peggio questa affermazione – che non può contestare in quanto proveniente dal suo organo direttivo americano, ma che fondamentalmente parla di una regola grammaticale della lingua inglese, che in italiano semplicemente non esiste.

“L’azione espressa in Giovanni 8:58 iniziò “prima che Abraamo venisse all’esistenza” ed è ancora in corso. In tale contesto εἰμι (eimì), prima persona singolare del presente indicativo, si può correttamente tradurre con un tempo passato come l’imperfetto indicativo o il passato prossimo”.

Mi chiedo: è possibile che fra i Testimoni di Geova italiani nessuno conosca l’inglese a sufficienza da accorgersi di questa incongruenza?

Intanto in italiano il testo dice: “si può correttamente tradurre con un tempo passato come l’imperfetto indicativo o il passato prossimo” ma l’inglese non parla di imperfetto indicativo, bensì di passato prossimo (perfect) perché in inglese 1. Non esiste l’imperfetto e 2. In inglese il tempo del verbo che descrive delle azioni che cominciano nel passato e che sono tutt’ora in corso, è soltanto il perfect indicative – che corrisponde al nostro passato prossimo.

Ma c’è qualcosa di più ovvio. In italiano le azioni che cominciano nel passato e proseguono nel presente non si esprimono né con l’imperfetto né con il passato prossimo, bensì col tempo presente. Esempio: “Io vivo in Italia dal 1974”. Se avessimo utilizzato passato prossimo o imperfetto, avremmo ottenuto tutt’altro significato: 1. Imperfetto: “Io vivevo in Italia dal 1974”, 2. “Ho vissuto in Italia dal 1974”.

L’espressione: “io vivo in Italia dal 1974” si traduce in inglese “I have lived in Italy since 1974”. Il presente deve essere tradotto con un present perfect.

Allo stesso modo un’espressione inglese del tipo: “I have lived in England since 1974”, si deve tradurre: “vivo in Inghilterra dal 1974”. Perché quando un’azione comincia nel passato ed è ancora in essere, in inglese si deve utilizzare il perfect (passato prossimo), ma in italiano il presente!

Quindi la traduzione inglese dei Testimoni che dice: “before Abraham came into existence, I have been”, se origina dal fatto che il perfect descrive in inglese un’azione cominciata nel passato e tutt’ora in essere, deve tradursi con un tempo presente italiano: “prima che Abraamo venisse all’esistenza, io sono”.

Stavolta per appurare l’accuratezza della versione dei Testimoni di Geova basterà consultare un insegnante di inglese.



[2] Riporto il brano di Es 3,14 traducendo ʾehyeh come fa la LXX con “Io sono”. Si sente spesso dire che il verbo essere al “presente” non esisterebbe in ebraico. Che tempo è dunque ʾehyeh? Secondo una teoria grammaticale (più diffusa in passato che oggi) l’ebraico biblico non ragionava in base al nostro concetto di “tempo”, ma in base al cosiddetto “aspetto” del verbo. I verbi ebraici secondo la “teoria aspettuale “anziché collocare un evento nel tempo, dicendoci se è esso è “prima”, “contemporaneo” o “successivo” a qualche altro evento, ci direbbero invece se l’azione è “compiuta”, “momentanea”, “durativa”, o “progressiva”, ecc. indipendentemente dalla sua collocazione nel tempo.

Seguendo questa teoria, alla quale per altro io non credo granché, molte grammatiche chiamano il verbo usato in Es. 3,14 un “imperfetto”, perché etimologicamente in latino “imperfetto” significa “non compiuto” (il contrario “perfectus” significa “finito”\”compiuto”).

Altre grammatiche invece lo chiamano “futuro”, perché in ebraico moderno, che ha un uso dei tempi abbastanza diverso da quello biblico, questo “tempo” è usato per il futuro. A me sia la traduzione “imperfetto” che quella “futuro” paiono inadeguate, e preferisco dire, utilizzando il nome ebraico, che si tratta di un yiqtol. Dell’yiqtol biblico, lasciando da parte la teoria aspettuale del verbo ebraico, possiamo dire che può indicare sia “contemporaneità sia posteriorità, ossia presente e futuro” (D. Mittler, Grammatica ebraica, Zanichelli, Milano, 2000, p.141).

Si capisce dunque bene che la resa della LXX, della Vulgata, e della stragrande maggioranza delle Bibbie moderne con “io sono” sia pienamente legittima e forse addirittura da preferirsi al futuro (io sarò), che invece viene soprattutto da un’interferenza col senso più ristretto che questo tempo ha assunto nell’ebraico moderno.

Una ragione forte per tradurre col presente è che nella seconda parte del versetto 14 ʾEhyeh viene trattato come un nome proprio di Dio: “Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono (ʾEhyeh) mi ha mandato a voi»”.

Ora, se ʾEhyeh è uno dei nomi di Dio, nella frase precedente la copula (ossia il primo ʾehyeh) va tradotto senz’altro col presente. Infatti se ci chiedono qual è il nostro nome, l’unica risposta sensata è data al presente, e non al futuro. Non ha senso rispondere alla domanda: “come ti chiami?” dicendo “io sarò Marco”, ma solo “io sono Marco”. Se dunque ʾEhyeh è un nome proprio, allora il primo ʾehyeh, sarebbe reso meglio con un presente. Ovviamente non ha senso l’obiezione che in ebraico non esisterebbe il verbo essere al presente. In ebraico (almeno quello biblico) non esiste il presente di nessun verbo, perché il presente non esiste, così come non esiste il futuro, si tratta infatti di categorie della grammatica latina appicciate malamente all’ebraico. E siccome, come già visto sopra, l’ yiqtol può anche esprimere contemporaneità, nulla di scandaloso nel dire che possa essere tradotto con un “sono” inteso come copula. Copula significa “unione”/”legame”: in una frase come “Io sono bello” il termine “io” è il soggetto, “bello” è il “nome del predicato”, e “sono” è la copula, ossia ciò che “unisce”, perché lega le due parole (il soggetto e il nome del predicato).

Nella nostra frase di Es 3,14 dunque dunque “ʾehyeh ʾašer ʾEhyeh” il primo ʾehyeh fa da copula, e il secondo da nome del predicato (infatti lo scrivo con la maiuscola). Ci si potrebbe chiedere dove stia il soggetto, visto che la copula, se deve legare, dovrebbe legare due elementi, e la risposta è che il soggetto è sottinteso perché il fatto che si tratta di una prima singolare nell’yiqtol si capisce già da come è coniugato il verbo.

Si può dunque dire che in ebraico la copula esista anche nel presente [visto che il presente è una delle possibili traduzioni approssimative dell’yiqtol che non è propriamente né un presente né un futuro], e questo perché sebbene anche gli studenti alle prime armi sappiano che per dire “Io sono Marco” si può scrivere “io Marco” (ani Marco), nulla vieta che possa esistere il verbo “essere” come copula in altri “tempi” ebraici (come l’yiqtol) che possono corrispondere anche al nostro presente, qualora l’autore biblico volesse esprimere un valore imperfettivo del verbo.

L’idea che in ebraico non esista la copula è dunque priva di fondamento o per lo meno un’approssimazione semplificativa per studenti alle prime armi che si potrebbe trovare in un manuale introduttivo. Infatti, esattamente come in italiano, il predicato nominale si può formare col verbo essere in qualsiasi tempo. In “Marco era biondo” il verbo “era” è la copula. Dunque in ebraico, in cui il verbo essere esiste al tempo yiqtol, tale verbo può essere usato come copula.

Anche la frase “in ebraico non esiste la copula al presente” risulta errata o per lo meno approssimativa, perché troppo pensata con categorie latine, infatti in ebraico il “tempo presente” non esiste per nessun verbo (come il “tempo futuro” del resto), in compenso, siccome l’yiqtol è traducibile anche col presente, si può dire, utilizzando le già suddette imprecise categorie latine, che esiste il verbo “essere” in ebraico al presente con funzione copulativa. Intendendo con ciò dire solamente che esiste un costrutto con l’yiqtol, la cui traduzione può essere un presente italiano, in cui il verbo essere ha funzione copulativa.

[3] Nota per grecisti: la forma ἤμην è un imperfetto alternativo di εἰμι che si affianca al classico ἦν. Già attestato dal IV secolo a.C. in autori come Lisia e Senofonte, ricorre spesso nel NT (es. Gv 16,4).

[4] Si veda su ciò la paginaIl ‘ripristino’ del nome di Dio”.

[5] La traduzione di Elias Hutter si può leggere e scaricare al seguente link: http://bibles-online.net/flippingbook/1599-hutter-3/5/

Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova
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02/04/2021
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