I Testimoni di Geova -
      analisi critica di un culto
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Tecniche di persuasione


Sancito il diritto di critica verso le organizzazioni religiose

Il testo di un'importante sentenza emessa il 9 dicembre 2004 dalla Corte di Appello di Roma.
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REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano LA CORTE DI APPELLO DI ROMA Sezione quarta penale riunita in Camera di Consiglio e composta dai dott. Enzo Rivellese Presidente dott. Dario D'Onghia Consigliere dott. Giovanni Carlino Consigliere rel. ha emesso la seguente

SENTENZA

nei confronti di

BONI CHIARA, nata a Firenze il 27.8.1948,
SALVADORE ANDREA, nato a Roma il 24.8.1952,
ODIVELLI ARIANNA, nata a Dolo (Ve) il 28.8.1971,
VASCON ARTURO, nato a Venezia il 4.8.1936,

Imputati

Del delitto p. e p. dall'art.10, 595 c.cp., 30 lg 223/90, 13 lg 47/48 perché, in concorso tra loro, mandando in onda in data 31.7.98 sull'emittente televisiva Rai Tre la puntata del programma "Format: il dilemma" dal titolo "La figlia rapita" offendevano la reputazione della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova definendola ripetutamente "setta" e consentendo la diffusione di interviste ove si affermava fra l'altro che "Arianna Odivelli (di anni 16) era stata assorbita dall'organizzazione...era plagiata, quasi irrecuperabile...dicevano di non andare a scuola perché non serve...mi dicevano di lasciare la famiglia e di andare in una loro famiglia...andare da loro senza il consenso dei genitori è una scelta giusta...proibiti i rapporti all'estreno della Congregazione...fui impedita di leggere una lettera di motivazioni sulla decisione di abbandonare i testimoni...si raggiungono livelli di fanatismo incredibile..." e che la Congregazione aveva a base "...un sistema di lucro e basta...".

In Roma, il 31.7.1998.

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 14.6.2002 il GUP del Tribunale di Roma dichiarava non luogo a procedere nei confronti di Chiara Boni, Andrea Salvadore, Arianna Odivelli ed Arturo Vascon in ordine al reato di diffamazione - commesso il 31.7.1998 in danno della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova nella trasmissione televisiva "Format: il Dilemma" dal sottotitolo "La figlia rapita" - perché il fatto non costituisce reato.

Il giudice evidenziava che la fattispecie coinvolgeva i rapporti tra la Congregazione ed i suoi aderenti, posto che dall'esperienza di Arianna Odivelli nascevano che critiche, che trasfuse in un servizio televisivo avevano acquistato la dimensione e la diffusione proprie di una critica globale al modo di essere e di agire della Congregazione, descritta come una formazione caratterizzata da integralismo, rigidità e dall'attitudine a condizionare in modo pervasivo la vita privata e sociale di ogni aderente.

Ripercorreva la vicenda della Odivelli, dal suo ingresso nella Congregazione, dei conflitti con la famiglia per aver lasciato la scuola per dedicarsi alla predicazione, della critica maturata dopo mesi di sofferta riflessione, della sua decisione di lasciare la comunità.

Affermava che i termini "setta" e "fanatismo" dalla stessa Odivelli usati erano adeguati ad esprimere il senso di oppressione patito e che l'accusa di integralismo, implicita nella sua presa di posizione, rifletteva l'opinione formatasi nel corso della lunga e sofferta esperienza.
Poneva in risalto che la ragazza, pur esprimendo una critica severissima e radicale, non si era abbandonata a nessuna espressione gratuitamente offensiva, ma aveva analizzato con estrema intelligenza quelli che considerava gravi errori dottrinali e sociali.

Sottolineato infine che la stessa non aveva riferito alcun fatto che fosse risultato smentito, riteneva essersi pienamente integrata la scriminante del diritto di critica, applicabile anche in relazione alle trasmissioni televisive.
Passanso all'esame dell'altro intervistato, Arturo Vascon, rilevava che questi - riuscito dopo sette anni di litigi a staccare la consorte dalla Congregazione - aveva preso posizione contro una ideologia considerata in grado di rompere i connettivi strutturali della famiglia ed in tale contesto usato l'espressione "sistema di lucro" alludendo agli interessi economici della confessione ma senza negarne la matrice religiosa.

Riteneva tale riferimento . peraltro ricorrente in posizioni critiche verso altre chiese - non sufficiente a superare i limiti della scriminante, al pari dell'accusa di aver plagiato la Odivelli.

In proposito osservava che anche la mamma della ragazza aveva usato espressioni alludenti al concetto di plagio - non più afferente al reato ed ormai provo di portata lesiva -, espressioni costituenti manifestazione della posizione critica ed oppositiva nei confronti dello stile di vita - vero o presunto - proposto dalla Congregazione.

In ordina a Chiara Boni - giornalista ed intervistatrice della Odivelli e del Vascon - richiamava le considerazioni svolte ed assumeva che la stessa non aveva alcun obbligo di verifica né sulla veridicità delle espressioni usate, trattandosi esclusivamente di opinioni e giudizi, né sul limite della continenza mai travalicato dagli intervistati.
Con riferimento alla posizione di Andrea Salvadore - regista della trasmissione - ribadiva che il servizio dal titolo "La figlia rapita" - peraltro da analizzarsi nella sua completa formulazione: "Il dilemma, la storia di genitori e figli. Arianna, la figlia rapita" - riflettevano il punto di vista soggettivo della ragazza e della sua famiglia ed alludevano al senso di perdita da questa vissuto.

La sentenza veniva impugnata dal P.G. limitatamente ai menzionati indagati. L'appellante reputava estraneo al concetto di critica ogni apprezzamento negativo immotivato o motivato su fatti non veri.
Rilevava che il GUP aveva dato atto del discredito ricaduto sulla confessione religiose e della sussistenza dell'aspetto oggettivo del reato di diffamazione. Assumeva che alcuni giudizi formulati dagli interventi - in particolare l'accusa di rapimento e plagio, l'essere la Congregazione costituita in setta di fanatici, il sistema di lucro su cui si fonderebbe - erano gratuiti e privi di una verifica di fondatezza: pertanto travalicavano i limiti del diritto di cronaca sia sotto l'aspetto della verità che quello della continenza.

Chiedeva quindi riformarsi la sentenza e disporsi il giudizio nei confronti dei menzionati imputati.
All'esito dell'odierna udienza di camera di consiglio, udite le conclusioni rassegnate dalle parti, la Corte  ritiene di dover disattendere - nei limiti appresso specificati - l'impugnazione proposta.

Va preliminarmente osservato che nella querela per diffamazione sporta, la parte civile aveva mosso accuse nei confronti "dell'allora direttore di Rai Tre, nonché responsabile del programma Format, Dott. Giovanni Minoli, degli autori, Sigg.ri Chiara Boni, Massimo Bernardini, Andrea Salvadore, nonché nei confronti dell'ON.le Irene Pivetti e di chiunque altro, compresi Arianna Odivelli, i suoi genitori e i coniugi Vascon".

L'appello è invece limitato al proscioglimento di Arianna Odivelli, di Arturo Vascon, della Boni e del Salvadore, non formando oggetto di gravame le pronunce liberatorie intervenute nei confronti degli altri indagati, anche se la parte querelante lamentava in via prioritaria l'impostazione ed il titolo dati alla trasmissione televisiva (cfr. la querela sporta).

Le posizioni da esaminare restano dunque quelle della Odivelli, della Boni, del Salvadore e del Vascon - nella more deceduto in data 13-4.2004 -.

Dalla trascrizione del programma la prima risulta aver qualificato la Congregazione come "setta", nonché caratterizzata da "fanatismo" ed "integralismo" ed accusata di "plagio".
Non sono mai state negate il carattere e le finalità religiose della Congregazione Cristiana dei testimoni di Geova e le critiche alla stessa mosse - come addebitate nel capo di imputazione -, non escludono siffatto scopo e prendono le mosse dalle esperienze personali vissute dalla giovane Arianna Odivelli e dalla signora Vascon e dalle conseguenti sensazioni percepite a seguito della loro permanenza nella comunità.

In tale contesto il giudice ha rettamente valutato le espressioni usate dalla giovane Odivelli, se pur improntate da un aspro spirito critico, ancorate a presupposti di fatto non smentiti e non gratuitamente offensivi per la costituita parte civile.

Va in merito osservato che, nella attuale accezione linguistica, i termini di "setta" e di "plagio" non hanno più quella connotazione negativa loro precedentemente attribuita: indicano ora il "carattere chiuso" di una associazione ed il "pieno coinvolgimento" degli aderenti ai suoi scopi.
L'espressione "fanatismo ed integralismo" nella circostanza alludono pi meramente alla preminenza degli interessi della comunità su quelli personali e familiari dei singoli - proposti quest'ultimi per il raggiungimento del fine comune - nonché ai rigorosi valori morali propugnati dal movimento religioso.

Si tratta comunque di espressioni comunemente usate in sede di severa critica ideologica che devono intendersi lecite sul piano penale, quale manifestazione del diritto costituzionale di opinione e di manifestazione del pensiero.
Per queste ragioni deve escludersi che gli indicati vocaboli, ribaditi il non negato carattere religioso della Congregazione e la mancata dimostrazione della falsità delle circostanze di fatto relative alle esperienza personalmente vissute (cfr. in merito la impugnata sentenza) travalichino il limite consentito dal diritto di critica.
Va rilevato altresì che il "plagio" nel nostro ordinamento non è più previsto come reato e che la parte civile non ha contestato l'episodio riferito dalla Odivelli della non permessa lettura dello scritto che motivava le ragioni della sua fuoriuscita dalla congregazione.

Nel corso dell'intervista rilasciata la stessa Odivelli non parla mai di costringimento ad abbandonare gli studi e la famiglia ma in proposito riferisce: "io fui protagonista di una profonda trasformazione, in quanto, ecco, all'epoca frequentavo le scuole medie e già alla fine delle medie paventavo (da intendersi accarezzavo l'idea, come emerge dal contesto delle dichiarazioni, n.d.r.) l'idea di non proseguire gli studi, di darmi ad un lavoro a mezza giornata e durante l'altra mezza giornata di dedicarmi ala predicazione e quindi a tutte le attività geoviste;

"erano riusciti attraverso lo studio ed attraverso la frequenza alle adunanze a creare un indotto intorno a me che mi entusiasmava, mi induceva a capire che stavo compiendo la cosa giusta";
ed ancora "all'età di quindici anni io mi sono battezzata con il rito utilizzato dai testimoni con l'immersione in acqua, ovviamente galvanizzata da chi mi stava intorno, dalle persone che conoscevo, da chi mi conduceva lo studio all'epoca, così ...era diventato un passo importante";

"il clima in casa divenne via via sempre più insopportabile. Ad esempio quando io mi battezzai già mia madre aveva preso una posizione netta...nei miei confronti, di contrario, di obiezione. Quando vide che le cose prendevano una piega sbagliata, quando io ho cominciato a controllare i miei affetti, a progettare il mio futuro in maniera diversa, cominciò a capire che io mi stavo separando dalla famiglia, che io non stavo più investendo nella famiglia perché ormai c'era un altro gruppo nel quale investire";

"Io mi sentivo un po' come una palla tra due fuochi: dovevo mantenere la mia integrità";
"qualcosa di tutto ciò che loro mi dicevano mi entrava anche nella testa e nel cuore. Capivo che in tutto ciò che loro mi dicevano c'era anche qualche cosa di giusto e di vero";

"Qualcuno tra gli anziani aveva cominciato a paventare (vocabolo ancora una volta erroneamente usato, nella specie da intendersi come prospettare, n.d.r.) la possibilità che una volta maggiorenne io avessi potuto lasciare la mia famiglia ed ottenere accoglienza presso una famiglia della congregazione";
"la dottrina geovista penetra in tutte le sfere della vita di una persona, quindi nella sfera privata, della vita personale, degli affetti, della vita sociale".

Né parla mai di "fine di lucro" o "sistema di lucro", espressione attribuita dal GUP al Vascon ma in realtà adoperata dal padre della giovane (vedi la trascrizione in atti).

Né risulta che la stessa Odivelli e gli altri indagati abbiano preventivamente concordato le risposte da dare o le affermazioni da fare in ordine alla Congregazione.
Passando all'esame della posizione di Chiara Boni e Andrea Salvatore - rispettivamente presentatrice-intervistatrice e regista della trasmissione televisiva, cui intervennero la Odivelli ed il Vascon, nonché i rispettivi familiari e la Pivetti - va sottolineata che la stessa parte querelante addebita alla prima esclusivamente la mancata contestazione e limitazione di quanto affermato dagli intervistati.

Dalla citata trascrizione risulta che la Boni nulla di rilevante aggiunse alle dichiarazioni degli ospiti né può ritenersi aver fatto cassa di risonanza delle stesse, posto che trattavasi di dichiarazioni raccolte al momento, senza alcuna prova di preventivo accordo o conoscenza.
Un vaglio verosimilmente andava fatto al responsabile del format, cui è da ascriversi anche il titolo dato al servizio televisivo e le conseguenti scritte apparse in sovraimpressione.
Per tale motivo appare esente da responsabilità il Salvadore, non emergendo anche per quest'ultimo un preventivo accordo od una pregressa conoscenza.

Per tutte le svolte considerazioni e per quelle più diffusamente contenute nella sentenza impugnata, l'appello formulato dal P.G. va rigettato con conferma della impugnata decisione anche nei confronti del deceduto Vascon.
Attesa l'evidenza della sua innocenza, il proscioglimento nel merito va disposto a norma dell'art.129, II comma, c.p.p., richiamato nella sua interezza dall'art.69 stesso codice.
Invero la parte civile addebita ad entrambi i coniugi Vascon esclusivamente le seguenti espressioni . senza contestare altre affermazioni -:

"...manipolazione della mente...trasformata la mentalità dell'individuo...prima la sala del Regno e poi la famiglia...si raggiungono livelli di fanatismo incredibili".

Ribadita la mancanza di prova di un accordo preventivo, sottolineato che il riferimento al sistema di lucro non è attribuibile ad Arturo Vascon al pari dell'affermazione "trasformata la mentalità dell'individuo" e che non è oggetto di contestazione il presunto atteggiamento oppositivo della congregazione nei riguardi del voto, il Collegio non può che ripetere quanto sopra evidenziato in ordine all'uso e alla portata dei termini "plagio", "integralismo" e "fanatismo", ritenuti manifestazione di una consentita critica, sia pure formulata in modo severo.

P.Q.M.
visto l'art. 428 c.p.p.,
rigetta l'appello proposto dal P.G. avverso la sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Roma il 14.6.2002 e conferma l'impugnata decisione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 9.12.2004.
Il Consigliere est.      
                                              Il Presidente

Le pagine originali
(cliccare per ingrandire)

I commenti


“Il dilemma: storie di genitori e figli - La figlia rapita”
RAI TRE Format (puntata del 31 luglio 1998)
- commento di Achille Aveta -

Sancito il diritto di critica
Articolo a cura di A.R.I.S. VENETO
 
   
       
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Crisi di coscienza,
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Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo
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