I Testimoni di Geova -
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Le dottrine


I Testimoni di Geova  e le citazioni dei Padri apostolici

Al Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova

Adriano Baston
Via Trucchi, 39/A – Venaria (TO)
Tel. 011 4594472
Cari fratelli,

Esaminando le citazioni di autori, cristiani e non, che appaiono nella vostra letteratura nel tentativo di offrire al lettore Testimone di Geova un collegamento teologico con gli antichi autori cristiani, si nota che non sempre viene rispettato il corretto pensiero degli autori, specialmente quando nella citazione non si contempla il significato che essa assume nel suo contesto: l'ambiente culturale, storico e scientifico.

Quello di attirare, da parte del Corpo Direttivo (CD) dei TdG, l’attenzione del comune “testimone”, imprudentemente o intelligentemente, su un determinato brano scelto, ha l’effetto di consolidare nei TdG la convinzione che i veri cristiani sono solo loro e che tutti gli altri, in special modo gli studiosi, hanno travisato il pensiero, non solo della Bibbia, ma anche degli autori che vennero dopo gli apostoli, alcuni dei quali hanno fatto da ponte per la successiva generazione cristiana.

Alcuni, anche TdG, mi hanno chiesto: “Te ne sei accorto solo ora?” Il tempo della crisi può avvenire in qualsiasi momento. A dire il vero, ho sempre trovato difficoltà ad abbinare il significato che la Società dava a frasette racimolate qua e là, con il pensiero degli autori dai quali la frase era  stata estrapolata. Combattevo tra la fedeltà alla Società e la fedeltà alla verità che scoprivo quando andavo a leggere l’originale citato. Mi dicevo: “Un discorso così complesso, come si può liquidare in due frasi?”.

Tante volte, quando mi accingevo ad esaminare il contesto del versetto citato, mi veniva il dubbio di non aver capito bene e che forse la Società aveva ragione; il senso di colpa aveva il potere di ricacciare indietro il dubbio ed ogni forma di sospetto per affermare l’integrità morale della Torre di Guardia. Ricordo un episodio negli ultimi mesi della mia attività di “anziano” (1986-1987), quando frequentavo la congregazione “Vallette” (To):

in una “adunanza di servizio”, durante una dimostrazione per la distribuzione delle riviste, chiesi alla congregazione che cosa intendeva la Società  quando si cita l’aforisma di Nietzsche sulla “morte di Dio”. Si rispose in base al pensiero della Società. Il discorso era rivolto all’indirizzo di molti ecclesiastici della cristianità e a gran parte dei suoi componenti, i quali - si sosteneva -, più che seguire la fede cristiana, fanno professione di ateismo. Si tratta di vedere tuttavia cosa si intende per “morte di Dio”.

La teologia radicale della morte di Dio, che pure cita la frase di Nietzsche, (Paul Tillich, Hammilton, Robinson, ecc.), è molto complessa e mi chiedevo, appunto, come potesse la Società liquidare un discorso così vasto con due semplici frasette. O si spiega come sarebbe giusto fare, o, se non si spiega, sarebbe più onesto lasciar perdere: non si lancia il sasso e poi si ritira la mano! Trattare da burattini gli autori di tale dottrina, ritenendoli persone che disprezzano la Bibbia, quando invece essa da parte loro trova il più profondo apprezzamento, mi sembra un segno di pessima cultura.

Si parte dalla teologia di K. Barth e dalla demitizzazione di R. Bultman, di corrente protestante, nel tentativo di spiegare Dio e Gesù Cristo in una maniera del tutto nuova, rispetto alla tradizione. Si tratta inoltre di alcuni teologi, e non degli ecclesiastici in generale, che vanno ricercati nell’area protestante, diciamo anche con alcune simpatie da parte cattolica. La Società commette spesso l’errore di fare di ogni erba un fascio.

Nonostante la mia iniziale reticenza nel verificare le citazioni, alla fine prevalse la ragione: rilessi L’uomo folle, il testo di Nietzsche dal quale la Società ha tratto la parte sulla “morte di Dio”. Mi risultò che Nietzsche aveva in  mente ben altra cosa da quella prospettata dalla Società: «Dove se n’è andato Dio? – gridò - ve lo voglio dire: siamo stati noi ad ucciderlo: voi ed io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo?

Che mai facemmo a sciogliere questa terra dalle catene del suo sole?… Non è il nostro un eterno precipitare… Non stiamo vagando verso un infinito nulla?… Non  seguita a venir notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere la lanterna ogni mattina? Dello strepitio che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla?… Dio è morto! Dio resta morto e noi lo abbiamo ucciso!…».

Sono parole dal profondo contenuto filosofico e anche profetico, alla luce delle vicende storiche del pensiero e della morale del secolo passato e di quello seguente e che i TdG non possono liquidare …con le solite  frasette ad effetto.

Esistono tanti tipi di ateismo quanti sono i concetti di Dio che si rifiutano; a mio vedere ce ne sono almeno di due tipi: quello di tipo teorico e quello di tipo pratico, quest’ultimo oggi certamente più ricorrente. Ateismo non significa soltanto affermare che Dio non esiste (Ateismo teorico), secondo il concetto tradizionale, ma anche che, pur ammettendone l’esistenza, molte persone vivono come se Egli non esistesse (Ateismo pratico). Vi è anche, un significato mistico sulla morte di Dio: «Dio deve morire nel mondo, perché possa nascere in noi» (Altizer- Hamilton).

I TdG devono smetterla di accusare tutti di falsità. Lentamente è maturata in me la decisione di controllare alcuni brani della letteratura che la Società cita nelle sue pubblicazioni allo scopo di trovare un collegamento storico che confermi i suoi insegnamenti, considerando particolarmente quei passaggi che potrebbero dare l’impressione che si neghi la divinità di Gesù Cristo e che potrebbero dare un’idea errata circa il subordinazionismo. Il TdG non deve sapere, è chiuso mentalmente, è un ghettizzato. Ognuno di loro è invitato ad attenersi in modo incondizionato al pensiero del CD: «Dobbiamo tenerci incondizionatamente uniti all’organizzazione di Geova e impegnarci nelle attività che la distinguono» (La Torre di Guardia 1-5-1992, pag. 21).

L’invito è rivolto soprattutto ai “sorveglianti” che per essere esempi di verità e guida morale devono esortare nella stessa direzione anche gli altri componenti: «È necessario fare ricerche nelle pubblicazioni della Società» (Prestate attenzione a voi stessi e tutto il gregge, 1991, pag. 70). Sì, perché la Società Torre di Guardia «provvede istruzione divina» essendo «usata con grande efficacia…da Geova» (La Torre di Guardia 1-1-1995, pag. 21; Esaminiamo le Scritture, 1986, 1 del 3).

Accogliendo l’invito dell’Apostolo di ‘accertarsi di ogni cosa’, contro anche un certo mio turbamento che rivelava sotto un certo aspetto la mancanza di fiducia in chi scriveva gli articoli per La Torre di Guardia, alla fine prevalse il desiderio di verificare quello che ricevevo dalle sue pagine. Controllavo quello che mi era accessibile, dato che non sono in possesso di tutte le opere da loro citate; ma se quelle che riesco a controllare sulla divinità di Gesù Cristo sono inesatte ed erroneamente intese, che ne sarà di tutte le altre citate in inglese e in altre lingue? Se un TdG si prendesse la briga di andare a controllare le opere da loro citate in lingua italiana – ne sono piene le librerie cattoliche e protestanti – se ne renderebbe conto da sé. Si tratta solo di liberarsi dal timore di offendere la Società Torre di Guardia.

Policarpo (69-155 d.C.)


Nella rivista Torre di Guardia del 15-11-1989, pag. 22, 23 si sostiene che Policarpo fosse «sorvegliante della congregazione nei difficili anni della predetta apostasia» (ma chi erano gli apostati in quel tempo?). Si aggiunge inoltre che «egli separa Dio da Gesù Cristo, il Padre e il Figlio, e dice che la salvezza la otteniamo per “volontà di Dio mediante Gesù Cristo». Ma cosa volle dire Policarpo con queste parole? L’apologetica è piena di  simili frasi che si riferiscono sempre all’uomo Cristo Gesù e non al Logos che esiste inseparato dal Padre.

È vero che Policarpo ha scritto questo, ma egli dice anche che “dobbiamo presentarci al tribunale di Cristo”, il “sommo eterno sacerdote”. Dice anche che “Cristo è stato messo sul legno della croce” e nella preghiera prima di essere martirizzato afferma di credere nella “risurrezione dell’anima e del corpo” (Martirio di Policarpo, XIV, 2); perciò “sia gloria a te [Dio] con lui [il Figlio] e allo Spirito Santo”, (ibid., XIV,3), tutte cose alle quali i TdG non credono.

Egli dà gloria al Padre allo stesso modo che dà gloria al Figlio e allo Spirito Santo. Crede che Gesù è stato inchiodato al “legno della croce”. Lo chiama “sommo eterno sacerdote” e crede nel corpo e nell’anima. Il fatto che la salvezza avvenga “mediante” il Figlio non significa affatto che Policarpo neghi l’unità del Figlio con il Padre. Sono due persone distinte ma unite. “Mediante” significa strumento, ma anche causa prima, come quando per esempio Paolo dice di Dio: “Poiché conveniva che colui per il quale sono tutte le cose, e per mezzo [o mediante] del quale sono tutte le cose, conducesse molti figli alla gloria, rendesse il principale agente [1] della loro salvezza perfetto mediante le sofferenze”. (Eb 2:10, TNM). Vedere I Padri Apostolici, A.Quacquarelli, Città Nuova, 1976, pag. 151-172
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Lettera ai Filippesi


Fratelli, restiamo sempre saldamente attaccati alla nostra speranza e al pegno della nostra giustizia, Cristo Gesù che portò nel suo corpo i nostri peccati sulla croce (1Pt 2,24), lui che non ha mai peccato e nella cui bocca non fu trovato inganno (1Pt 2,22); ma per noi, affinché viviamo in lui, ha tutto sopportato.

Siamo dunque imitatori della sua sapienza e, se soffriamo per il suo nome, glorifichiamolo. Lui stesso ci si è presentato come modello e a lui abbiamo creduto.
Vi esorto tutti a obbedire alla parola di giustizia e a perseverare nella pazienza, come avete visto coi vostri stessi occhi non soltanto nei beati Ignazio, Zosimo e Rufo, ma anche negli altri che erano tra voi, in Paolo stesso e negli altri apostoli. Siamo persuasi che essi non hanno corso invano, ma nella fede e nella giustizia, e che sono nel luogo che era stato loro promesso, vicino al Signore col quale hanno sofferto. Non hanno amato il secolo presente (2Tm 4,10), ma Cristo che è morto per noi e che Dio ha risuscitato per noi.

Restate dunque in questi sentimenti, e seguite l'esempio del Signore, «fermi e saldi nella fede, amando i vostri fratelli, amandovi scambievolmente», uniti nella verità, preoccupandovi gli uni degli altri nella dolcezza del Signore, senza disprezzare nessuno. Quando potete fare il bene, non differitelo, perché l'elemosina libera dalla morte (Tb 12,9). Siate tutti sottomessi gli uni agli altri, conservando una condotta irreprensibile tra i pagani, perché le vostre buone opere (1Pt 2,12) vi attirino la lode e il Signore non sia bestemmiato a causa vostra. Maledetto colui che fa bestemmiare il nome del Signore (Is 52,5). Insegnate a tutti la saggezza nella quale voi stessi vivete...

Che Dio, Padre di nostro Signore Gesù Cristo, e lui stesso, il sommo eterno sacerdote, vi faccia crescere nella fede e nella verità, nella dolcezza e senza collera, nella pazienza e nella longanimità, nella sopportazione e nella castità; vi dia parte all'eredità dei suoi santi, e così anche noi con voi, e a tutti coloro che sotto il cielo credono nel nostro Signore Gesù Cristo e nel Padre suo che lo ha risuscitato dai morti. Pregate per tutti i santi. Pregate anche per i re e per le autorità; pregate per coloro che vi perseguitano e vi odiano e per i nemici della croce; così il frutto che voi portate sarà visibile a tutti e voi sarete perfetti in lui.
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Martirio di Policarpo


... Allora lo legarono: egli mise le mani dietro il dorso e fu legato come un ariete, scelto dal gregge in gradito sacrificio d'olocausto a Dio. Poi alzò gli occhi al cielo e disse: «Signore, Dio onnipotente, Padre dell'amato e benedetto tuo Figlio Gesù Cristo, per mezzo del quale abbiamo conosciuto te, Dio degli angeli, delle potestà, di tutto il creato e dei giusti che vivono alla tua presenza, io ti benedico per avermi ritenuto degno di vivere questo giorno e questa ora e di aver parte, con il numero dei martiri, al calice del tuo Cristo, alla risurrezione della vita eterna dell'anima e del corpo, nell'incorruttibilità dello Spirito Santo.

Possa io essere oggi accolto tra loro al tuo cospetto, come un pingue sacrificio a te gradito, così come tu avevi predisposto, preannunciato e realizzato, o Dio di verità, che non conosci menzogna. Per questo e per tutte le cose io ti lodo, ti benedico, ti do gloria, per mezzo dell'eterno e sommo sacerdote Gesù Cristo, tuo Figlio diletto. Per mezzo di lui a te sia gloria, in unione con lui e con lo Spirito Santo, ora e nei secoli futuri. Amen».
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Tra l’altro di Policarpo, e anche di altri autori dell’epoca, non ci sono pervenuti che pochissimi scritti, sicché ci manca la possibilità di avere un quadro completo delle loro credenze. Una cosa è ben chiara: anche queste poche parole di Policarpo rendono evidente che egli non era un TdG. Cercare un accostamento da parte del CD con questo autore significa offendere l’intelligenza di ogni TdG, perché si approfitta della loro ignoranza in materia storica, biblica e scientifica.

Giustino Martire (110-165 d.C.)


La Torre di Guardia 15-3-1992, pagg. 28-30, dice che Giustino “professava il cristianesimo”, che “era alla ricerca della verità”, che “apprezzò i veritieri insegnamenti delle Scritture” e che predicava “la buona notizia ad ogni occasione” (cioè, secondo loro, predicava che il regno di Dio doveva nascere in cielo nel 1914 e che pochi anni dopo tale data tale regno avrebbe distrutto questo mondo per restaurare sulla terra il paradiso!) In questa rivista si dice ancora che Giustino citava “ripetute volte le Scritture Greche Cristiane”, che in realtà egli chiama “memorie degli apostoli” e “vangeli”. Giustino cita ripetutamente anche il Vecchio Testamento.

Dopo tanto elogio per il Martire, la Società non esita a vibrare il suo colpo di scure: «Fino a che punto egli visse in armonia con le Scritture e gli insegnamenti di Gesù non si può affermare con certezza» (pag. 30). Invece, contrariamente a quello che sostiene la Torre di Guardia, la verità su Giustino Martire si può benissimo sapere, anche se non ci sono pervenuti tutti i suoi scritti. Basta leggere l’opera dalla quale la Torre di Guardia ha steso il frammentario articolo e tutto si chiarisce.

Quello che è sopravvissuto alla storia di Giustino è sufficiente per dimostrare che non ha nulla a che fare con i TdG e si può stabilire “con certezza” in che cosa egli credeva. Ecco solo alcune delle sue convinzioni: «I loro corpi, insieme alle loro anime, saranno puniti con pena eterna e non per mille anni soltanto». Egli credeva nell’immortalità dell’anima e nella punizione eterna dei malvagi. Ripete più volte: «Se tutti gli uomini conoscessero queste cose, nessuno, neppure per poco tempo, sceglierebbe ciò che è male sapendo di andare incontro alla pena eterna del fuoco».

Per quanto riguarda la sua speranza, non ci sono dubbi in che cosa consisteva: «Ma voi avendo sentito (dire) che aspettiamo un regno, stoltamente credete che alludiamo ad un regno terreno mentre noi predichiamo di quello assieme a Dio, come è evidente dal fatto che, quando siamo interrogati da voi confessiamo di essere cristiani pur sapendo che è stabilito la pena di morte per colui che confessa». Nella resurrezione «i corpi degli uomini dissolti e ricomposti come semi della terra, per ordine di Dio risorgeranno e si “rivestiranno d’incorruttibilità”». (Il pensiero è di Paolo, ma sembra che Giustino ignorasse questo autore).

Giustino sostiene inoltre che «la geenna è il luogo» - non il simbolo della distruzione eterna, come insegna la Torre di Guardia, ma il luogo - «in cui devono essere puniti coloro che vivono nell’ingiustizia e non credono», «saranno puniti nel fuoco eterno coloro che (hanno vissuto) nella colpa e non si sono convertiti». Quando Gesù Cristo apparirà nella gloria «risusciterà i corpi di tutti gli uomini esistiti [quindi anche quello di Adamo] e vestirà di immortalità coloro che sono degni e (i corpi) degli ingiusti insieme ai demoni malvagi, getterà nel fuoco eterno per una eterna sofferenza». Egli distingue “corpo”, “mente” e “spirito” nell’uomo Gesù Cristo.

Il testo greco infatti dice: “kai soma kai logon kai psyken”, che tradotto significa: Cristo è “apparso per noi, corpo, logos e anima”. (Il Cristo, I° vol, pag 67, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, a cura di Antonio Orbe e Manlio Simonetti).
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La fede nella resurrezione della carne


E a pensarci bene, che cosa potrebbe apparirci più incredibile, - se noi non avessimo il corpo, - del sentirci dire, che da una piccola stilla dell'umano sperma possano derivare ossa e nervi e carni formate all'immagine che vediamo? Se, in via d'ipotesi, voi non esisteste così fatti né così generati, e uno vi assicurasse categoricamente, mostrandovi da una parte il seme umano e dall'altra una immagine dipinta, che questa può essere prodotta da quello, se non vedeste in atto la cosa, la credereste? No; nessuno ardirebbe contestarlo! -

Orbene, è per la stessa ragione che, per non averlo ancora visto, non credete al risorgere dei morti. Sennonché, come al principio non avreste creduto possibile che da una piccola stilla originassero creature siffatte - e pure le vedete prodotte - così dovete ammettere la non impossibilità che i corpi umani andati in dissoluzione e scompostisi a guisa di semi sulla terra, al loro tempo, per ordine di Dio, risorgano e si vestano dell'incorruttibilità [cf. 1Cor 15,53].  

Di qual possanza degna di Dio intenda, chi afferma il ritorno degli esseri allo stato da cui sorsero e l'impotenza di Dio stesso a trascendere questa legge, non sapremo stabilire; ma questo rileviamo, che costui non avrebbe creduto potersi mai generare esseri - e da tali elementi - simili a se stesso e al mondo tutto quale egli lo vede. Meglio credere perciò in cose impossibili agli uomini e alla natura, anziché non credervi al pari degli altri; ricordando l'insegnamento del nostro maestro Gesù Cristo: L'impossibile presso gli uomini è possibile presso Dio (Mt 19,26).

Giustino, Prima Apologia, 19

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Giustino dice anche che Gesù non è stato impalato ma crocifisso: «Gesù Cristo distese le mani, crocifisso dai giudei: la “frase trafissero le mie mani e i miei piedi” era la spiegazione dei chiodi piantati sulla croce nelle sue mani e nei suoi piedi». Muove delle critiche a Platone che non aveva capito gli scritti di Mosè; parla del serpente di bronzo che sarebbe stato esposto su una croce a forma di “X”, «non sapendo», afferma Giustino, «che si trattava del segno della croce». Inoltre, Giustino credeva che secondo la profezia di Isaia il Cristo sarebbe stato adorato dai popoli di tutte le nazioni.

L’onestà avrebbe dovuto indurvi a dire anche che Giustino credeva nell’ “eucaristia”, quella che voi chiamate semplicemente “commemorazione” dal carattere puramente simbolico, una sterile riunione annuale di persone che assistono e non partecipano, se non solo alcuni. Per Giustino il pane ed il vino non sono semplicemente tali, ma «ci fu insegnato [da chi?] essere carne e sangue del Gesù incarnato.

Gli apostoli, infatti, nelle memorie da loro lasciate e che si chiamano vangeli, così tramandano che a loro è stato comandato e che Gesù, prendendo il pane, rendendo grazie, disse “questo fate in mia memoria, questo è il mio corpo”, e nello stesso modo prendendo il calice e rendendo grazie: “questo è il mio sangue”».

Non sentì affatto il bisogno di far dire alle “memorie degli apostoli” quello che non dicono e cioè “questo significail mio corpo, questo significa il mio sangue”, come fa la TNM. Vorreste forse dare dell’ignorante a Giustino? [si veda su ciò anche questa pagina: "Le riunioni dei primi cristiani"].
Giustino visse molto vicino all’apostolo Giovanni o alla sua comunità e gli scritti che sono giunti fino a noi sono sufficientemente chiari e dimostrano in che cosa credevano sia lui che i suoi contemporanei. Insinuare in qualche maniera che i TdG siano legati agli insegnamenti di Giustino è falso. Per quanto mi sforzi di trarre qualche collegamento tra i suoi scritti e le vostre credenze, esse non trovano spazio alcuno e la vostra pretesa che i Padri Apostolici e i Padri Greci vi diano appoggio cade nel nulla.

Ed è proprio Giustino a sottolineare, a distanza di 1800 anni, che a Dio “l’innominato” non si può dare nessun nome: «Nessuno può dare un nome a Dio inesprimibile; se poi qualcuno [come i TdG] avesse il coraggio di affermare che un nome esiste manifesterebbe senz’altro una follia». Evidentemente Giustino, quando leggeva nelle “Memorie degli apostoli” le parole, “sia santificato il tuo nome”, oppure “ho fatto conoscere il tuo nome”, aveva certamente un intendimento diverso dal vostro.
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Il battesimo nel II secolo

("Solo un folle incurabile" oserebbe dire che Dio ha un nome...)

A quanti si siano convinti e credano alla verità degli insegnamenti da noi esposti, e promettano di vivere secondo queste massime, viene insegnato a pregare e chiedere con digiuni a Dio la remissione dei peccati commessi; e con loro preghiamo e digiuniamo anche noi.

Quindi sono condotti da noi nel luogo dov'è l'acqua e rigenerati nella stessa maniera onde fummo rigenerati noi stessi: nel nome del Padre di tutti e Signore Iddio, del Salvatore nostro Gesù Cristo e dello Spirito Santo, compiono allora il lavacro nell'acqua (cf. Mt 28,19). ... si invoca nell'acqua, su colui che ha deliberato di rigenerarsi e s'è pentito dei peccati, il nome di Dio Padre e Signore universale: e questo solo si proferisce nel condurlo al lavacro per l'abluzione, poiché nessuno è in grado di dare un nome al Dio inesprimibile, e solo un folle incurabile ardirebbe sostenere che ve ne sia.
Tale lavacro è denominato illuminazione, perché chi accoglie queste dottrine, è illuminato nello spirito. Nel nome inoltre di Gesù Cristo crocifisso sotto Ponzio Pilato e dello Spirito Santo, che per mezzo dei profeti predisse tutti gli eventi relativi a Gesù, riceve l'abluzione l'illuminato.

Giustino, Prima Apologia, 61

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Per quanto riguarda la divinità di Cristo, anche qui suoi scritti non lasciano dubbi. Egli credeva che Gesù, il “divino Logos” incarnato, non fosse il Logos dei filosofi, ma la Parola di Dio che chiama pure “Dio”. Vede il Figlio distinto dal Padre, ma non separato da Lui, perché la Parola, il Pensiero non si possono separare dalla sua Fonte. In qualche passaggio Giustino può dare l’impressione di sostenere un certo subordinazionismo, ma questo non pregiudica la sua convinzione che il Logos sia «preesistente con il Padre» e ne segua poi la sua incarnazione nel Cristo. - Gli Apologeti Greci, Città Nuova, ed. Paoline, 1986, pagg. da 83 a 167.

Perciò Gesù non è preesistente, ma il Logos, il Logos non è Gesù in quanto tale, ma il Logos incarnato (H. Kessler). La salvezza è venuta “per mezzo” di Gesù, non di un Gesù come rivestimento o un connubio di carne e spirito, ma un vero uomo, in lui Dio si è rivelato, cioè è l’autorivelazione di Dio, Logos in Gesù Cristo.

Da tener presente anche che i primi Padri non erano in possesso di tutta la Scrittura per avere un quadro completo della dottrina su Cristo e su ciò che lo concerneva. La storiografia proto-cristiana è molto scarna, molti scritti sono andati perduti, perciò le informazioni che possediamo sono incomplete. Ma al di là di tutto questo è certo che Giustino Martire non è un precursore dei TdG! In seguito, avendo avuto in mano tutti gli scritti del Vecchio e del Nuovo Testamento, il discorso si è fatto più chiaro. Non si dimentichi che Gesù ha detto “io edificherò la mia chiesa” e l’“altro soccorritore”, lo Spirito Santo Paraclito inviato da Lui, sarebbe venuto a tale scopo.

Su Giustino aggiungo ancora quanto si afferma nel Dialogo con Trifone (ed. Paoline, 1988, le parentesi quadre sono mie): «È Cristo infatti che è stato annunciato come re, sacerdote, Dio, Signore, angelo [come titolo, cioè messaggero], uomo, arcistratega, pietra, bambino generato, dapprima sottoposto al patire per salire in cielo e di nuovo venire nella gloria con il regno eterno…» (pag.159); «…così si dice del Cristo: “è sceso Dio tra il clamore, il Signore, al suono della tromba. Cantate inni al nostro Dio, cantate inni.

Cantate inni al nostro Re, cantate inni. Perché Dio è re di tutta la terra, cantate con arte, Dio ha regnato sui popoli, Dio siede sul suo santo trono”» (Sal. 47: 6-10, pag.167). Nel salmo 44 si dicono di Cristo le seguenti cose: «…il tuo trono, Dio, nei secoli dei secoli» (pag. 169). Cristo è definito «Figlio di colui che ha fatto tutte le cose, essendo egli stesso Dio, e che si è fatto uomo per mezzo della vergine» (pag.188); «…una volta che abbiate compreso le Scritture, che vi è cioè, e vien detto esserci, un Dio e Signore diverso dal Creatore di tutte le cose, che è chiamato anche angelo per il fatto che annuncia agli uomini ciò che vuole annunciare loro il creatore di tutte le cose, al di là del quale non c’è altro Dio» (pag.203); «…è detto e scritto essere apparso ad Abramo, a Giacobbe e a Mosè, è un altro Dio rispetto a quello che ha fatto tutte le cose, un altro, intendo, per numero, non per distinzione di pensiero. Egli infatti non ha mai fatto nulla se non quello che il creatore del mondo, al di sopra del quale non c’è altro Dio, ha voluto che facesse o dicesse» (pag.205).

«Dio ha generato da se stesso una potenza razionale che lo Spirito Santo chiama ora Gloria del Signore, ora Figlio, ora Sapienza, ora Angelo, ora Dio, ora Signore, che definisce se stessa Arcistratega quando appare in forma umana a Gesù» (pag.217). «È invece questo rampollo, veramente emesso dal Padre [cioè prima immanente nel Padre e generato da Lui come Verbo] prima di tutte le creature, che era presente con il Padre» (pag.221). Giustino non insegna che il Logos “rampollo” sia una creatura tra le “altre” come credono i TdG quando corrompono, per provare la loro dottrina, le Scritture, quando traducono «primogenito di tutte le altre creature», quindi come primo creato, ma “prima di tutte le cose”.

«Anche queste parole [“il tuo trono, o Dio”, Salmo 110: 3-4] indicano chiaramente che egli è degno di adorazione e che è Dio e Cristo come testimonianza resagli dal creatore» (pagine 223, 224). Dalla Scrittura: «si evince con tutta chiarezza che proprio di colui che è stato crocifisso si preannunciava che era Dio e uomo, che sarebbe stato messo in croce e sarebbe morto» (pag.243). I TdG negano che Gesù fosse Dio e uomo. Parlando di Giosuè, Giustino dice che egli «non era Cristo Dio, né il Figlio di Dio» (pag.327).

«Quanto al fatto che la Scrittura chiami il Cristo “Dio”, è stato dimostrato a più riprese» (pag.352). «…dicevo che si tratta di una potenza sì generata [non creata] dal Padre con la sua potenza e volontà, ma non per amputazione, come se l’essenza del Padre si fosse divisa, come succede per tutte le cose, che una volta divise e tagliate, non sono più le stesse di prima» (pag.361). Perciò la parola “emessa” è distinta dal Padre, ma unita nell’essenza: «…ciò che è generato, è numericamente distinto da ciò che genera» (pag.362-363). Perciò la Parola è distinta ma non separata dal Padre.

Si deve tener presente il contesto storico e culturale che Giustino dovette affrontare quando certe sue espressioni possono far pensare ad un certo subordinazionismo. Giustino dovette usare un linguaggio che fosse comprensibile sia al mondo pagano che alla cultura ebraica del suo tempo: «Giustino si interessa in misura molto rilevante al Logos; non però a quello dei filosofi, bensì a Cristo Figlio di Dio, persona distinta dal Padre, pur senza esserne separata». «Giustino è il primo autore che introduce formule trinitarie specificando numericamente i tre componenti: Martin, Espiritu Santo, pag. 252-263. D’altra parte, lo spirito Santo è da lui concepito più come attività divina che non come entità personale alla pari del Padre e del Figlio, quali cominceranno a presentarlo Ippolito e Tertulliano» (Il Cristo pag.61, 1° vol.; Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori 1995).

«Gesù Cristo… lo onoriamo sapendo che è figlio del vero Dio e mettendolo al secondo posto, e nel terzo mettendo lo Spirito profetico [o Spirito Santo])». Vedere anche Gli Apologeti greci, Città Nuova Editrice, pag. 93.
Sulla resurrezione di Cristo: «Dio, il Padre di ogni cosa, è la verità, Egli è anche intelletto perfetto. Il Verbo divenuto suo figlio, venne a noi rivestendo la carne, manifestando se stesso e il Padre…». Così commenta lo studioso questo passo: «Il Verbo, immanente ab eterno in Dio come sua sapienza e ragione impersonale, viene generato quale entità divina da lui ante tempus, per collaborare con lui alla creazione del mondo: vedi anche Teofilo di Antiochia…Questa concezione è largamente diffusa tra la fine del II sec. e l’inizio del III.

Alcuni degli autori che la condividono considerano il Verbo Figlio di Dio solo a partire dal momento della sua processione dal Padre: cfr. Tertulliano, Adversus Praxean 7, 1…Mediante l’incarnazione il Figlio non rivela solo se stesso, ma anche il Padre in forza dell’unione con lui, sulla traccia di Ev.Io. 14, 9 “Chi ha visto me, ha visto il Padre”: cfr Ireneo, Adversus haereses V 16,3» (Il Cristo, op. citata, pagine 83, 395, 400).

Che ha a che fare tutto questo con la teologia dei TdG i quali sostengono che il Figlio è il primo angelo creato, e che in terra, nel seno della vergine, non è venuto il Figlio, ma la sua “energia vitale”? Quindi nessuna incarnazione del Figlio! Insegnano poi che ciò che torna in cielo non è l’“energia vitale”, ma il suo corpo trasformato in corpo spirituale, animato dall’“energia vitale”, naturalmente!

Ireneo (ca. 130-200 d. C.)


In merito a questo autore cristiano La Torre di Guardia del 15/7/1990, pagine 21-23, afferma: «Ireneo condannò con coraggio l’errore dottrinale», combatté lo gnosticismo e «il cristianesimo apostata. Si rifiutò di avere alcuna parte in tutto ciò». «Ireneo voleva che il suo amico ed ex compagno Florino ritornasse al sano insegnamento scritturale e sfuggisse al valentianesimo». Perciò Ireneo, secondo La Torre di Guardia, seguiva il “sano insegnamento scritturale”, combatteva, sempre secondo la suddetta rivista, l’errore dottrinale e l’apostasia dei suoi giorni.
Si afferma ancora: «Nel 177 E.V. lo troviamo sorvegliante della congregazione di Lione».

È evidente lo sforzo penoso di fare apparire a tutti gli effetti Ireneo come un precursore dei TdG (“sorvegliante” e “congregazione” sono termini usati comunemente dai Testimoni) e dimostrare che le loro dottrine hanno radici negli insegnamenti dei Padri Apostolici e nei Padri Greci. Tant’è vero che, nell’opuscolo Dovreste credere nella Trinità?, a pag. 7, si afferma: «Ireneo morto verso il 200 E.V. sosteneva che il Gesù preumano aveva un’esistenza separata da Dio ed era inferiore a lui, spiegava che Gesù non era uguale al “solo vero Dio”, il quale regna  supremo su tutti e oltre al quale non c’è nessuno».

Niente di più falso. Si cuciono insieme frasi prese qua e là, ed il gioco è fatto! Quando mai Ireneo, o qualsiasi altro apologista cristiano della Grande Chiesa,  ha mai affermato che il Padre e il Logos hanno un’esistenza “separata”? Si tratta del Logos preumano o di Gesù Cristo?
La Torre di Guardia ancora afferma: «Gli scritti di Ireneo sono anche impareggiabili in quanto documentano almeno alcuni punti ancora condivisi alla fine del II secolo E.V. da coloro che dichiararono di attenersi alla Parola di Dio». Dov’è la documentazione storica a dimostrazione di ciò? Vogliono con queste parole dimostrare che a partire dal III secolo d.C. il cristianesimo venne soppresso e che dovevamo attendere nel 1870 le “rivelazioni” del sedicente cristiano e commerciante C. T. Russell?
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Episcopato romano e comunità romana secondo Ireneo


... La tradizione degli apostoli diffusa in tutto il mondo, può essere trovata in ogni Chiesa, da coloro che vogliono vedere la verità, e a noi è possibile elencare coloro che dagli apostoli furono costituiti vescovi nelle varie Chiese, e i loro successori fino a noi; tutti costoro non hanno mai né insegnato né conosciuto le pazzie che quei tali [gli gnostici, in quel caso ma, potremmo aggiungere, tutti coloro che si sono staccati dalla Tradizione apostolica in seguito] vanno sognando. Se gli apostoli avessero conosciuto misteri arcani da insegnare solo ai «perfetti», di nascosto dagli altri, li avrebbero senz'altro tramandati a coloro cui affidarono le stesse Chiese.

Volevano infatti che fossero perfetti e irreprensibili in tutto, quelli che lasciavano come loro successori, affidando ad essi il loro magistero; infatti, agendo essi bene, ne sarebbe venuta grande utilità a tutta la Chiesa, mentre se fossero venuti meno, ne sarebbero provenuti gravi danni.

Ma poiché sarebbe troppo lungo in un volume come questo numerare le successioni di tutte le Chiese, indichiamo solo la tradizione ricevuta dagli apostoli, la fede annunciata a tutti gli uomini e giunta fino a noi nella successione episcopale, della Chiesa più grande e più antica, conosciuta da tutti; della Chiesa fondata e costituita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo. Possiamo confondere così tutti coloro che in qualsiasi modo, o per presunzione, o per vanagloria, o per cecità e gusto dell'errore, fondano conventicole [o delle “sette”, come Russell]. Con questa Chiesa, per la sua esimia superiorità, deve accordarsi la Chiesa universale, cioè i fedeli che sono ovunque; in essa infatti viene conservata, da coloro che sono dovunque, la tradizione derivante dagli apostoli.

I beati apostoli, che fondarono e costituirono quella Chiesa, affidarono poi a Lino l'ufficio episcopale di governarla. Questo Lino è ricordato anche da Paolo nelle sue lettere a Timoteo. Lo seguì Anacleto; dopo questi, al terzo posto dopo gli apostoli, ebbe l'episcopato Clemente, che aveva conosciuto i beati apostoli, aveva conversato con loro e, mentre risuonava ancora la loro predicazione, aveva avuto sotto gli occhi la tradizione; e non era il solo, perché sopravvivevano molti direttamente istruiti dagli apostoli. Sotto Clemente ebbe luogo una ribellione non piccola tra i fratelli che erano a Corinto; la Chiesa di Roma scrisse perciò ai corinti una lettera molto energica, richiamandoli alla pace, rinsaldando la loro fede e proclamando la tradizione poc'anzi ricevuta dagli apostoli...

A questo Clemente successe Evaristo, e ad Evaristo Alessandro; poi, sesto dagli apostoli, fu costituito vescovo Sisto; dopo di lui, Telesforo, che sostenne un glorioso martirio. Poi Igino, poi Pio e poi Aniceto. Ad Aniceto successe Sotero; e ora, al dodicesimo posto dopo gli apostoli, ha l'episcopato Eleuterio. Per quest'ordine e questa successione, la tradizione apostolica, la predicazione della verità nella Chiesa è giunta fino a noi. È questa una dimostrazione fortissima che una e identica è la fede vivificatrice affidata dagli apostoli alle Chiese e conservata genuina fino ad oggi.

Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3,1-3

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Ireneo dice di credere in un  «solo Dio e Padre Onnipotente». Con queste parole egli intende, naturalmente, come tutti gli altri nel suo tempo (anche prima di lui e dopo di lui), che in “Dio Onnipotente” erano immanenti il suo Logos e la sua Sapienza o Spirito. Dice Ireneo: «L’Intelletto è il Padre e il Padre è l’Intelletto. Pertanto il Logos che deriva da lui, o piuttosto l’Intelletto stesso, che è il Logos, dev’essere necessariamente perfetto e impassibile, e le emissioni che derivano da lui, essendo della medesima sostanza di cui  è egli stesso, devono necessariamente essere perfette e impassibili e rimanere sempre simili a colui che le ha emesse” (pag. 159 [2]).

«Dunque questo mondo è stato creato dal suo Verbo, come dice il libro della Genesi affermando che Dio ha creato tutte le cose, che fanno parte del nostro mondo, per mezzo [come causa prima] del suo Verbo» (pag.127, parentesi mia). «È dunque necessario che abbiano un nome diverso, presso quanti hanno almeno un po’ di intelligenza nel discernere queste cose, così che colui che ha creato tutte le cose è giustamente denominato, insieme al suo Verbo, solo Dio e Signore…» (pag. 231).

«Verbo Artefice dell’universo che siede sopra i cherubini e sostiene tutte le cose…» (pag, 242). «Cristo, se è nato allora non esisteva prima. Noi infatti abbiamo dimostrato che il Figlio di Dio non cominciò ad esistere allora perché esisteva da sempre presso il Padre; ma quando si incarnò e divenne uomo, ricapitolò in se stesso la lunga storia degli uomini» perciò  da “impassibile” divenne “passibile”» (pag. 273, sottolineatura mia).

«Gesù Cristo Figlio del Dio Vivo, che tra i figli di Adamo nessuno è chiamato Dio e Signore in senso assoluto, in se stesso, lo abbiamo dimostrato con la Scrittura; ma egli, a differenza di tutti gli uomini… è proclamato in senso vero e proprio Dio, Signore, Re eterno, Unigenito e Verbo incarnato da tutti  i profeti, dagli apostoli e dallo Spirito stesso...». «Dio… da sempre, infatti, gli sono accanto il Verbo e la Sapienza, il Figlio e lo Spirito. Mediante loro e in loro ha creato tutte le cose » (pagine 345-347). «Infatti il Verbo di Dio è veramente il creatore del mondo. E questo è il nostro Signore che si è fatto uomo» (pag. 447).

E nella “Esposizione della predicazione apostolica” Ireneo afferma che la fede cristiana si fonda su tre articoli: «Ecco l’ordine della nostra fede: Dio Padre increato,… unico Dio… tale è il primo e il principale articolo della nostra fede. Il secondo è: il Verbo di Dio, Figlio di Dio, Gesù Cristo nostro Signore… Come terzo articolo: lo Spirito Santo per virtù del quale i profeti hanno pronunciato le loro profezie» (pag. 490). Ireneo delinea un quadro molto espressivo dell’insegnamento apostolico del suo tempo anche con le seguenti parole: « Dio il Padre e Dio il Figlio, perché colui  che è nato da Dio è Dio. Così secondo l’essenza del suo essere e della sua potenza, appare un solo Dio; ma, contemporaneamente nell’amministrazione dell’economia della nostra redenzione, Dio appare (come) Padre e (come) Figlio...». E al Figlio egli applica le parole apostoliche: «Il tuo trono, o Dio, dura per sempre» (pag. 508).
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Il Verbo Creatore del mondo


... Il vero creatore del mondo è il Verbo di Dio, cioè il Signore nostro, che negli ultimi tempi si è fatto uomo in questo mondo, mentre invisibilmente contiene in sé tutte le creature ed è impresso in tutta la creazione come Verbo di Dio, che tutto governa e dirige: egli venne in modo visibile, si fece carne e fu appeso al legno per ricapitolare in sé ogni cosa: «Ma i suoi non lo accolsero»...

«Mentre a coloro che lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio». Egli, infatti, ha ricevuto dal Padre ogni potere come Verbo di Dio e vero uomo... Egli stabilisce che ogni realtà continui nel suo ordine, egli regna visibilmente su ogni cosa visibile e umana, e giudica tutti con giustizia. In questo senso Davide dice: Il nostro Dio verrà palesemente, e non tacerà (Sal 49,3). E soggiunge, riferendosi al giudizio che egli terrà: Il fuoco arderà davanti a lui e attorno a lui vi sarà un turbine violento; chiamerà il cielo dall’alto e la terra, per giudicare il suo popolo (Sal 49,4).

Ireneo di Lione, Contro le eresie, 5,18.2-3
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Davvero i TdG credono, come Ireneo, che il Verbo è il Creatore del mondo? Cristo è considerato tale da tutti i primi Padri e nessuno di loro, fra l’altro, ha mai sentito il bisogno di tradurre, come maldestramente ha fatto il CD, “il tuo trono è Dio”. Quindi citare Ireneo come autorità da parte dei TdG per sostenere la loro dottrina finisce per avere effetti disastrosi (su di loro).

Tertulliano (ca. 160-230 d. C.)


IX, 1,2 [3]: «Ricordati in ogni momento che io ho enunciato la regola secondo cui affermo che sono inseparati l’uno dall’altro il Padre e il Figlio e lo Spirito: così potrai intendere che cosa io stia dicendo e in che senso. Ecco, infatti, che io dico che uno è il Padre e uno è il Figlio e uno è lo Spirito: non capisce bene queste parole l’incompetente o il mal prevenuto [come accade con i TdG], come se esse significassero una diversità e, in base alla diversità, procurassero una separazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo tra loro...

E tuttavia il Figlio non è altro dal Padre per intrinseca diversità, ma lo è per distribuzione, né per divisione, ma per distinzione, perché il Padre non è identico al Figlio, dato che è per numero che l’uno è “altro” dall’altro. Il Padre è, infatti, tutta quanta la sostanza, mentre il Figlio è una derivazione dal tutto ed una parte [nel senso che la sostanza del Figlio è la stessa del Padre, come vedremo in seguito] di esso, come egli stesso afferma: “Il Padre è maggiore di me” non nel  senso di Logos, perché come tale è della stessa sostanza del Padre »; «…Così il Padre è diverso dal Figlio, in quanto è maggiore del Figlio, in quanto uno è colui che genera, [il Padre non crea il Figlio, ma lo genera, che è ben altra cosa] un altro [per numero non per sostanza] è colui che è generato, uno è colui che manda, un altro è colui che è mandato, uno colui che fa, un altro colui attraverso il quale è fatto… ».

XII,  1-7: «Ti scandalizza il numero trinità?», «del resto io, in ogni occasione, tengo ferma una sola sostanza in tre Persone connesse tra loro: tuttavia  sono costretto a dire “altro”, per necessità di senso, colui che comanda rispetto a colui che esegue».

XV,  5-8: «… Infatti anche se il Verbo è Dio, è però presso Dio, perché è Dio da Dio, [formula che si recita tuttora] perché è con il Padre presso il Padre... Paolo...disse che Cristo era Dio: “I padri dei quali, e dai quali è Cristo secondo la carne, che è Dio sopra tutto, benedetto in eterno”».
«Anche Paolo  mostra che Cristo è Dio visibile, cioè il Verbo di Dio poiché quello che fu generato dalla vergine fu chiamato “Cristo”».

XIX,  5, 6- 8: «… perché i cieli sono stati creati dal Verbo, [come credevano tutti i Padri preniceni]. Infatti, mentre la Sapienza era vicina al Padre, nel Verbo fu creato il cielo e tutte le cose sono state fatte attraverso il Verbo, [“attraverso”, come causa prima (vedi nota 1)] ed è logico che sia stato il Figlio da solo a distendere il cielo, poiché il Figlio da solo ha eseguito le opere del Padre... Prima di ogni cosa, si capisce, c’è il Verbo: “In principio era il Verbo”… il Padre ed il Figlio sono due, e non per separazione della sostanza, ma per economia divina, allorché noi enunciamo come indivisibile e inseparato il Figlio rispetto al Padre, e altro non per natura ma per successione perché il Figlio, anche se è nominato Dio, dal momento che è nominato al singolare, non per questo produce due dei, ma un solo Dio. E ciò avviene proprio per il medesimo motivo per cui deve essere chiamato anche “Dio”, cioè in seguito al suo essere unito al Padre».

I testimoni di Geova credono a tutto questo?

XXVII , 10,11: «Certamente egli è sotto ogni aspetto, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, senza dubbio secondo l’una e l’altra sostanza, distanti nella loro peculiarità, poiché né il Verbo è altro da Dio né la carne è altro dall’uomo…Congiunto con una sola persona, Gesù che è Dio è uomo ».
II, 4: «… come diciamo noi: che dal Dio unico viene tutto questo, s’intende, per mezzo dell’unità della sostanza, e ciò non di meno, viene mantenuto il mistero dell’economia, che dispone l’unità nella Trinità, distinguendo in tre, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: tre, tuttavia, non per qualità ma per successione, né per sostanza [cioè, come fossero tre sostanze] ma per aspetto, né per potestà ma per manifestazione, e dotati di un’unica sostanza e di un’unica potestà perché Dio è unico». Perché i TdG insistono nell’affermare che Tertulliano non credeva nella Trinità?

XXIX, 2: «Veramente, dal momento che si ammette l’esistenza, in Gesù Cristo, di due sostanze, cioè quella divina e quella umana, e si sa che quella divina è immortale, quella umana è mortale, è evidente in qual senso l’apostolo dice che Cristo è morto: è morto in quanto carne e uomo e figlio dell’uomo, non in quanto Spirito e Verbo e Figlio di Dio». Di nuovo, i TdG credono a tutto questo?

I testimoni di Geova, riferendosi al subordinazionismo, di Tertulliano e dei Padri preniceni (i pareri su ciò non sono tuttavia unanimi), vogliono far credere che i primi Padri insegnavano che il Logos fosse un angelo, la prima creatura di Dio. I TdG insegnano che Gesù Cristo scomparve dal cielo per nascere come uomo sulla terra; che il Logos durante i tre giorni nella morte andò nel nulla, che il corpo di Gesù venne disintegrato e al suo posto risuscitò un corpo spirituale. Ma dove è scritto tutto questo? Dove è scritto che il Figlio di Dio viene creato per tre volte? Una in “principio”, un’altra quando nasce come uomo ed un’altra quando risorge “corpo spirituale”? Ma dove è scritto?!? Cosa hanno in comune questi insegnamenti con quelli dei primi Padri?

Nell’apologetico così si esprime Tertulliano: «Noi lo diciamo proferito da Dio, generato da Dio [non creato] nel proferirlo, e quindi chiamato figlio di Dio e Dio per la unità della sostanza: che anche Dio è spirito. Così quando un raggio è proiettato dal sole, è una parte che viene dal tutto; ma il sole sarà nel raggio, perché è raggio del sole e la sostanza non si separa, ma si dilata come luce accesa da luce.

La materia matrice resta integra e intatta, anche se per più canali si protende la sua natura. Così anche ciò che è uscito da Dio è Dio, e Figlio di Dio, ed entrambi sono uno: altro in misura, secondo per rango, non per stato; venuto, ma non separato dalla matrice…nasce un uomo congiunto con Dio…Verbo di Dio eterno, primogenito…»  Apologetico, Città Nuova Editrice 1967, pagine 104,105. Chiediamo nuovamente: possono i TdG sostenere, in tutta franchezza ed onestà, che i loro insegnamenti su Dio, il Figlio e lo Spirito Santo sono in qualche modo sostenuti dagli scritti dei primi Padri?

Per quanto riguarda l’opera di Tertulliano Contro Ermogene, citata nella Torre di Guardia del 1-4-1992, pag. 28, anche qui si nota una delle solite citazioni alterate, con l’uso iniquo delle parentesi che ne stravolgono il vero significato. Ecco un classico esempio di come il CD possa far scempio delle citazioni pur di conseguire il suo scopo: «Anche per questo era stato proclamato che la Sapienza di Dio era nata e prodotta, cioè perché noi non credessimo che ci fosse qualcosa di innato e di non prodotto, ad eccezione di Dio solamente… come poté essere possibile che, ad eccezione del Padre, vi sia stato qualcosa di più antico, e, pertanto, più nobile del Figlio di Dio, del Verbo unigenito e primogenito…poiché quello (Dio) che non ebbe bisogno di nessun artefice per esistere sarà molto più sublime di quello (il Figlio) che, per esistere, ebbe bisogno di un artefice»

(XVIII, 2,3, le parentesi sono state aggiunte dalla Società Torre di Guardia). Questo modo di citare non chiarisce al lettore di che cosa si sta parlando, in che cosa credeva Ermogene e di quali argomenti Tertulliano si serve per confutarlo. Ebbene, in breve Ermogene credeva e insegnava che la materia fosse eterna come Dio, non nata e non creata. Secondo Ermogene, Dio esercitava solo la signoria sulla materia ma non ne era stato il creatore. Ecco per intero il brano citato dalla Società:

«Riconosca, dunque, Ermogene, che anche per questo era stato proclamato che la Sapienza di Dio era nata e prodotta, cioè perché noi non credessimo che ci fosse qualcosa di innato e non prodotto, ad eccezione di Dio solamente. Se infatti dentro il Signore quello che fu fuori di lui e in lui non fu senza un inizio, vale a dire, la sua Sapienza, che fu nata e prodotta dal momento in cui nella mente di Dio essa cominciò ad essere attuata per disporre le opere del mondo, a maggior ragione è impossibile che qualcosa possa essere esistita senza un inizio, qualcosa che sia stata fuori del Signore.

Se poi la Sapienza è allo stesso tempo Verbo di Dio, “senza il quale niente è stato fatto”, così come niente fu disposto senza la sua Sapienza, come poté essere possibile che, ad eccezione del Padre, vi sia stato qualcosa di più antico e, pertanto, più nobile del Figlio di Dio, del Verbo unigenito e primogenito? Senza accennare al fatto che quello che è innato è più potente di quello che è nato, e che quello che non è stato fatto è più valido di quello che è stato fatto, poiché quello non ebbe bisogno di nessun artefice per esistere, sarà molto più sublime di quello che, per esistere, ebbe bisogno di un artefice.

Allo stesso modo, se il male effettivamente è innato e il Verbo di Dio è nato - “sgorgò da me”, dice infatti la Scrittura “un Verbo ottimo” - non so se da ciò che è cattivo possa essere introdotto ciò che è buono, ciò che è più valido da ciò che è debole, in quanto ciò che è innato sarebbe introdotto da ciò che è nato. Pertanto anche a questo titolo Ermogene pone la materia avanti a Dio, ponendola avanti al Figlio – ché il Figlio è il Verbo, e il Verbo è Dio e “io e il Padre siamo uno” -, se non che il Figlio tollererà di buon animo che sia posto avanti a sé colei che è posta sullo stesso piano del Padre», cioè la materia.

Sarebbe più corretto e di maggior beneficio spirituale che i Testimoni, invece di citare dalla Torre di Guardia frammenti degli scritti dei Padri, ne leggessero le opere originali e anche quelle degli specialisti in materia, così da avere un quadro davvero completo ed illuminante sulle credenze di questi cristiani. Sarebbe utile, per una corretta analisi, che il TdG non si facesse quindi sviare dalle citazioni mutilate - seppur con l'inserimento di puntini di sospensione e di parentesi “esplicative” - fatte dalla Società Torre di Guardia.

Clemente Alessandrino (ca. 150-215 d. C.)


Che Clemente Alessandrino abbia insegnato che il Padre è l’Iddio Onnipotente nessuno lo mette in dubbio, i cristiani lo hanno sempre creduto. Non mi risulta che tuttavia che Clemente abbia mai insegnato che “Gesù” sia stato creato o sia stato la “prima creatura” di Dio. Ecco quanto si legge negli Stromati [4] a proposito di ciò che egli realmente credeva: «…il Figlio di Dio, il quale ha creato l’universo, ha assunto una carne ed è stato concepito in una matrice di vergine…». VI, pag. 747. «…l’ignoranza non tocca il Figlio, che fu consigliere del Padre “prima della fondazione del mondo”.

Era questa infatti la sapienza “di cui si compiacque” Dio onnipotente: il Figlio è “potenza di Dio” in quanto Logos originario del Padre prima di tutto ciò che fu, e “sapienza di Dio” dovrebbe propriamente essere chiamato, e maestro di tutte le sue creature». VII, pag. 784.
E nel Quis dives salvetur?(Città Nuova, 1999 Quaquarelli) tra l’altro Clemente afferma: «…non sapendo quale “tesoro” portiamo in “vaso di creta”, difesa da ogni parte dalla potenza di Dio Padre e dal sangue di Dio il Figlio e della rugiada dello Spirito Santo». «Infatti, che cosa ancora manca?

Guarda i misteri dell’amore e allora contemplerai il seno del Padre che soltanto l’unigenito Figlio di Dio ha manifestato. È anche lui stesso il Dio d’amore e da amore per noi fu catturato. E, mentre l’ineffabilità di lui è Padre, la compassione verso di noi è divenuta madre. Il Padre per aver amato si fece femminile, e di questo è grande segno colui che egli generò da se stesso: anche il frutto generato da amore è amore» (pagine 60-63) .

Ed ecco ciò che scrive Clemente nel Protrettico (Cap.1: 6, 5): «Ma, proprio perché il Verbo era da principio (Ev. Io 1, 1) era ed è principio divino di tutte le cose…». 7, 1: «Il Verbo, cioè il Cristo, è dunque l’agente sia del nostro essere già passato - poiché egli era in Dio - sia del nostro benessere, ora è apparso agli uomini questo stesso Verbo, il solo che è insieme entrambe le cose: Dio e uomo, autore, per noi, di tutti i beni… Secondo l’ispirato apostolo del Signore “la grazia di Dio, fonte di salvezza, è apparsa a tutti gli uomini per insegnarci a rinnegare l’empietà e le bramosie mondane e a vivere con saggezza, giustizia e pietà in questo secolo nell’attesa della speranza beata e dell’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo» (Ep. Tito 2, 11-13) …Verbo che era nel principio e preesisteva …(perché “il Verbo era presso Dio” Io 1, 1)…colui che in principio come creatore aveva dato la vita assieme alla creazione, apparso poi come maestro ci ha insegnato a ben vivere per farci infine procurare, come Dio, il vivere eterno». E ancora nel Protrettico (cap.10, 110,1): «Il Divino Verbo, il Dio veramente manifesto».

E nel Pedagogo I, 6: 25,2: «…il Cristo rigenerato oggi è già perfetto oppure, cosa assurdissima, privo di qualche perfezione? Se così fosse gli mancherebbe da imparare qualche cosa. Ma non si addice di imparare qualcosa a lui che è Dio. Non ci può essere uno più grande del Logos, né un maestro dell’unico maestro» (Il Cristo, 1° vol., pag. 271-279, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori 1995, con testo greco a fianco).
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Il Figlio di Dio governa il mondo


Ciò che vi è di più nobile sulla terra è l’uomo, essere religiosissimo. Nel cielo, invece, è l’angelo, partecipe più da presso e con maggior profondità della vita eterna e beata. Ma perfettissima e santissima, di gran lunga superiore, sommamente dominatrice e regale e benefattrice è la natura del Figlio, la più vicina all’unico onnipotente. Egli è l’essere più nobile, ordinatore di tutto secondo la volontà del Padre ed eccellente governatore dell’universo, compiendo instancabilmente, secondo segreti disegni, tutte quante le cose.

Il Figlio di Dio, infatti, mai si allontana dalla sua vetta, essendo indiviso e intatto senza passare da un luogo all’altro, sempre presente in ogni dove e non circoscritto in nessun luogo: tutto spirito, tutto luce paterna, tutto occhio, spettatore e ascoltatore e conoscitore d’ogni cosa, potente scrutatore delle potenze. A lui, Verbo paterno e sostenitore della santa economia, sono sottomesse tutte le schiere degli angeli e degli dèi, grazie a colui che gliele ha sottoposte.

A lui appartengono perciò tutti gli uomini: alcuni per averlo conosciuto, altri non ancora; alcuni come amici, altri come servitori fedeli, altri, infine, semplicemente come servi. Egli è il maestro che istruisce lo gnostico con i misteri, il fedele con la buona speranza, colui che è duro di cuore con la disciplina correttrice, attraverso una saggia pedagogia. Così agisce la sua provvidenza in privato, pubblicamente e dappertutto.

...  Neppure mai si potrebbe trovare invidia nel Signore incorruttibile e generato senza inizio: d’altronde le cose umane stesse non sono certo tali da poter suscitare l’invidia del Signore. Diverso è colui che è geloso di chi gli sta a cuore. Non è lecito nemmeno affermare che il Signore non vuole dare la salvezza al genere umano per ignoranza, in quanto non conoscerebbe, cioè, il modo come prendersi cura di ciascuno. L’ignoranza, infatti, non tocca il Dio, che prima della creazione del mondo, fu consigliere del Padre: questa era la sapienza della quale Dio onnipotente si dilettava (Pr 8,30). Il Figlio è infatti la potenza di Dio in quanto fu, prima della creazione di tutte le cose, il principale Logos del Padre e la sua sapienza. Propriamente, egli potrebbe chiamarsi maestro di coloro che da lui sono stati plasmati.

Non è distratto da alcun piacere, mai si è distolto dalla cura degli uomini, lui che, avendo accolto la carne corruttibile, la perfezionò verso una condizione di incorruttibilità. ... Ciò che veramente governa e presiede è il Logos divino e la sua provvidenza che tutto controlla, nulla trascurando di quanto la riguardi. Coloro i quali si rivolgono a lui e hanno scelto di essergli uniti, sono iniziati per mezzo della fede. Per volontà del Padre onnipotente, questo Figlio è stato costituito causa di tutti i beni, primo suscitatore del moto, potestà incomprensibile ai sensi. Infatti, non apparve nella sua autentica realtà a coloro che non erano in grado di comprenderlo, a causa della debolezza della carne. Avendo egli accolto la carne sensibile, venne sulla terra per mostrare che è possibile all’uomo obbedire ai comandamenti.

Essendo la potenza paterna, il Figlio di Dio facilmente supera tutto ciò che vuole, nulla trascurando di quanto concerne il suo governo. Se ciò accadesse, infatti, non tutto sarebbe da lui compiuto in modo assolutamente corretto. È una dimostrazione della sua grandissima potenza il fatto ch’egli governi con somma cura tutte le cose, dalle più piccole alle più grandi; egli è il supremo amministratore di tutte le cose e conferisce loro la salvezza, secondo la volontà del Padre, mentre gli altri sono sottoposti ad amministratori subalterni, fino a risalire al grande pontefice. Infatti, da un solo principio iniziale, operante in conformità al volere del Padre, dipendono i principi primi, secondi e terzi.

All’estremo limite del mondo visibile hanno la loro sede gli angeli. Poi discende fino a noi una successione di esseri gerarchicamente ordinati: tutti vengono salvati e salvano attraverso l’intervento e la mediazione di uno solo.

Clemente Alessandrino, Stromata, 7,2

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Sono questi gli insegnamenti dei TdG? Assolutamente no! Negli scritti dei primi Padri - visti nel loro insieme - vi è una presenza massiccia di frasi come: «Dio attraverso il suo Verbo», «il Verbo preesistente», «Logos divino», «principio di tutte le cose», «archetipo della luce», «Dio», «Signore» e «Creatore», ecc. È vano lo sforzo di cercare di trovare passi in cui si sostenga che il Figlio sia “la prima creazione di Dio”, come insegnano i TdG. I loro “maestri” sono altri e vanno ricercati fuori dalla Grande Chiesa, nell’ambiente dello gnosticismo ed in alcune sette giudeo-cristiane, come vedremo più avanti.

Teofilo di Antiochia


Nella Torre di Guardia del 15/3/96, pagine 28-30, anche Teofilo di Antiochia viene presentato come se fosse un TdG, questo nella certezza che difficilmente qualche seguace dalla Torre di Guardia si prenderà il disturbo di andare a leggere l’opera citata per stendere l’elogio di Teofilo. L’articolo alla fine dice: «Innumerevoli riferimenti di Teofilo alle Scritture ci permettono di capire bene qual era il pensiero prevalente del suo tempo».

E qual era il pensiero prevalente nel suo tempo? Come si legge nell'opera I Padri greci (Città Nuova, ed. Paoline, 1986, pagg. da 363 a 462), contrariamente a quello che sostengono e credono i TdG, Teofilo credeva che:
«Come l’anima che è nell’uomo non si può vedere, essendo invisibile all’uomo» (367); «Dio, infatti, risuscita la tua carne immortale insieme alla tua anima; e allora vedrai colui che è immortale. Perché tu sei immortale, purché tu abbia creduto in Lui» (371); «Dio che è vero Dio, non solo essere dappertutto, ma anche da vedere tutto e ascoltare ogni cosa, pur non essendo contenuto in nessun luogo; altrimenti si scoprirebbe che il luogo che lo ospita sarebbe più grande di lui» (381); «Poiché Dio aveva il proprio Verbo immanente nel suo cuore, lo generò insieme alla sua sapienza emanandolo prima di tutte le altre cose…

I profeti non esistevano quando fu creato il mondo, ma (esisteva) la sapienza di Dio che è in lui e il suo santo Verbo che da sempre con lui esiste» (391); «Ugualmente anche i tre giorni che esistettero prima dei corpi luminosi, sono immagine della Trinità di Dio, del suo Verbo e della sua Sapienza» (399); «…il Logos che esiste da sempre è innato nel cuore di Dio. E prima che qualcosa esistesse, con questo si consigliava, sua mente e sua prudenza. E quando Dio volle creare quanto aveva deliberato, generò questo Verbo capace di parlare, primogenito di tutta la creazione, e senza privarsi del suo Verbo, ma avendo generato il Verbo e sempre con il suo Verbo rimanendo unito…“In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio”, dimostrando che in principio esisteva solo Dio e in lui il Verbo. Poi dice: (Giovanni) “E Dio era il Verbo; per mezzo di lui furono create tutte le cose e niente fu fatto senza di lui”. Il Verbo è Dio e da Dio generato» (407).

Come scrive la Torre di Guardia «innumerevoli riferimenti di Teofilo alle Scritture ci permettono di capire bene qual era il pensiero prevalente del suo tempo». Difatti quello che dice Teofilo di Antiochia è comune alle credenze del suo tempo, basta leggere i suoi scritti che ci sono pervenuti per rendersene conto, anche solo la stessa opera citata dalla Torre di Guardia (Ad Autolico). Il colmo della falsità si raggiunge quando la stessa rivista conclude dicendo: «Al momento non ci è dato di sapere  in che misura la predetta apostasia possa avere influito sulle sue vedute».

Il TdG che si prendesse la briga di leggere gli scritti di Teofilo si renderebbe conto che egli non ha nulla in comune con gli insegnamenti della Torre di Guardia e che il CD avrebbe fatto bene ad avvertire i suoi lettori di prendere le distanze non solo da Teofilo, ma anche da tutti gli altri scrittori cristiani dei primi secoli perché in contrasto con le dottrine della Società. Ma questo sarebbe stato tagliare le radici alle quali il CD cerca di collegarsi per avere un minimo di sostegno storico. Chi ha steso l’articolo sulla Torre di Guardia sa benissimo che Teofilo non ha mai detto che «il Figlio di Dio è un angelo creato», non ha mai sostenuto che «l’anima è mortale» e neppure che «Dio abita in un luogo nello spazio». Perciò il CD è ipocrita e in malafede nel presentare Teofilo e gli altri autori dei primi secoli quali “sorveglianti di congregazione”, quando sa benissimo che erano invece “vescovi” della Grande Chiesa.

Origene (185-254 d. C.)


I Princìpi [5], I - 2,2, 4: «Perciò noi riconosciamo che Dio è sempre Padre del Figlio suo unigenito, che da lui è nato e da lui trae il suo essere, tuttavia senza nessun inizio…» (291); «Infatti questa generazione è eterna e perpetua così come lo splendore è generato dalla luce, poiché non per adozione dello spirito Cristo diviene figlio eterno, ma è figlio per natura» (291). Spiegatemi: cosa significa “Figlio per natura e generazione eterna”?

Commento a Giovanni II, 18: «E l’immagine archetipa delle varie immagini è il Logos che “era presso Dio”, che era nel “principio”. Egli rimane sempre Dio per il fatto di essere presso Dio, e non sarebbe tale se non rimanesse presso Dio non rimarrebbe Dio se non perseverasse nella contemplazione perenne della profondità del Padre» (309-311);  XXXII, 25: «Peraltro, la gloria derivante dal morire per gli uomini non apparteneva né al Logos unigenito (che per natura non poteva morire) né alla Sapienza, né alla Verità, e così via per tutti gli aspetti divini che si predicano di Gesù, ma nell’uomo che era anche figlio dell’uomo, “nato dalla stirpe di Davide secondo la carne”.

Ecco perché, mentre prima aveva detto: “ora invece cercate di uccidere me, uomo che vi ho detto la verità” (Ev. di Io 8,40), nel passo che stiamo esaminando dice invece: “Adesso è stato glorificato il Figlio dell’uomo”. Ed è quest’ultimo, secondo la mia opinione, che Dio ha innalzato, perché si è fatto “ubbidiente fino alla morte di croce” (Ep Phil. 2,8-9), perché il Logos che era in principio presso Dio, il Logos che era Dio, non era suscettibile di essere innalzato. E l’innalzamento del Figlio dell’uomo, concessogli per avere glorificato Dio con la propria vita…» (323-325).

Contro Celso, III, 41: «Gesù, per quanto dotato di corpo mortale, viene ritenuto da noi Dio, … siamo persuasi fin dal principio Dio e Figlio di Dio, questi è il Logos stesso, la Sapienza stessa, la Verità stessa» (329); IV, 15: «E anche se, prendendo un corpo mortale e un’anima umana, il Verbo, Dio immortale, può sembrare a Celso che si cambi e si trasformi, apprenda che il Verbo, che resta Verbo per la sua essenza, non soffre alcuna cosa di quelle che soffrono il corpo e l’anima» (331-333).

Dal Commento al Cantico dei Cantici [6]: «Come il Padre conosce me, anch’io conosco il Padre; e nel XLV Salmo è scritto: State attenti e conoscete che io sono Dio. Perciò fine principale della scienza è conoscere la Trinità, in secondo luogo conoscere ciò che è stato creato da essa». (pagine 150 e 166) Lc 10:22; Giov.10:15. «Ma riguardo al significato segreto qui contenuto e a ciò che comporta la novità dell’espressione, preghiamo il Padre dello sposo e Verbo onnipotente che si schiuda la porta di questo mistero affinché possiamo essere illuminati…» (167); «Ritengo che come altrimenti sia stato definito la conoscenza della Trinità a ricevere la quale nessuno può salire se non è diventato cervo… Quello stesso che lì è compreso come Trinità per la distinzione delle persone, qui è compreso come il solo Dio per l’unità della sostanza. Siano sufficienti queste considerazioni sul cerbiatto» (239).

Commento alla lettera ai Romani [7]: «...Cristo... “Egli che è Dio sopra tutte le cose benedetto nei secoli”. Che Cristo sia una cosa secondo la carne e una cosa secondo lo Spirito, Paolo lo ha già indicato anche nelle prime parti di questa lettera,… Infatti è veritiera quella Scrittura che dice: “Sappiate che il Signore stesso è Dio”. Ora sia l’uno sia l’altro sono un unico Dio, poiché per il Figlio non c’è altro inizio della divinità che è il Padre; ma “purissima emanazione” della stessa unica fonte paterna, come dice la Sapienza, è il Figlio. Cristo dunque è “Dio sopra tutte le cose”. Cosa sono “tutte le cose”?

Senza dubbio quelle di cui abbiamo fatto menzione anche poco prima: “sopra i principati e potestà e virtù, e ogni nome che viene nominato non solo in questo secolo, ma anche in quello futuro”. Ma chi è sopra ogni cosa, non ha nessuno sopra di sé. Infatti  Cristo non è dopo il Padre, ma nel Padre. Questa stessa realtà poi, la Sapienza di Dio l’ha fatta comprendere anche a proposito dello Spirito santo, dove dice: “lo Spirito del Signore ha riempito l’universo e colui che tutto contiene ha conoscenza di ogni voce”. Se dunque il figlio è detto “Dio sopra tutte le cose”, e si ricorda che lo Spirito santo contiene tutte le cose è  poi Dio il Padre “dal quale derivano tutte le cose”, è dimostrato in modo evidente che una è la natura  e la sostanza della Trinità che è sopra tutte le cose» .

È chiarissimo quindi che Origine, a differenza dei TdG, credeva nella Trinità.
In un’altra occasione in modo esplicito Origene dichiara: « ...nel richiamare alla fede coloro che avevano ricevuto la grazia, così il bagno di purificazione con l’acqua, simbolo della purificazione dell’anima lavata da ogni impurità e da ogni malizia, e come la virtù delle invocazioni alla Trinità adorata, per colui che si offre alla divinità, principio e sorgente delle grazie divine» (Comm. Joh., VI, 17; IV, 142)». Origene, Jean Daniélou, ed. Arkeios, pag. 81. Il resto lo lascio leggere ai TdG, nella speranza che si rendano conto dell’imbroglio attuato dai  loro dirigenti a danno delle persone sincere.

Gran parte del discorso sul “subordinazionismo” dei primi Padri, come si diceva, è tutt’ora in via di studio. Molte loro espressioni su Dio, sulla divinità del Figlio e sulla natura dello Spirito Santo non sono sempre chiare. Ma una cosa è certa: i fondamenti dottrinali da loro posti sono gli stessi di oggi. Nicea ha solo affermato ciò che si credeva già, chiarendo meglio cosa intendevano i Padri preniceni con i termini di “natura”, “sostanza” ed “essenza”. Le verità  fondamentali del loro insegnamento sono rimaste le stesse. Non vi è stato nessun “bordeggio” e nessuna luce che si spegne perché se ne accenda un’altra.

Non si dimentichi, inoltre, che non possediamo tutti i loro scritti e che il Canone delle Scritture non era ancora strutturato e definito come lo è oggi. Giustino Martire citava indifferentemente sia i libri canonici sia quelli che in seguito furono chiamati apocrifi. Clemente Alessandrino, per esempio, riteneva ispirati i seguenti libri: la Didaché, la Lettera di Barnaba, il Pastore di Erma e l’Apocalisse di Pietro e così faranno anche altri. Perciò il loro discorso va visto e interpretato in questo contesto quando parlano della sapienza in Dio, del Figlio di Dio e dello Spirito Santo. Dovettero passare ancora alcuni secoli per la definitiva formazione del Canone e la Grande Chiesa stabilisse quali scritti dovessero ritenersi ispirati, distinguendoli dagli apocrifi.

E di sicuro non furono i TdG ad operare tale distinzione. Se ci sono delle espressioni nei Padri che possono essere interpretate come una forma di subordinazionismo del Logos, bisogna tener conto che nelle loro apologie essi si confrontavano con il rigido monoteismo ebraico e con il paganesimo, perciò dovettero usare un certo linguaggio per non esporsi all'accusa di politeismo.
I TdG, per onestà e per amore del vero, invece di citare i primi Padri farebbero bene, per coerenza, a riflettere su alcune espressioni del Pastore di Erma, del Vangelo degli Ebioniti e sugli insegnamenti di alcuni gnostici.

Erma, nella Nona Similitudine dice: «“Hai visto i sei uomini e, tra loro, quell’uomo alto e distinto che girava attorno alla Torre, e che scartò dall’edificio i sassi inadatti?”. “Ho visto - risposi -, o Signore”. “L’uomo glorioso, - spiegò - è il figlio di Dio e quei sei sono gli angeli gloriosi che lo circondano, a destra e a sinistra. Nessuno di questi angeli gloriosi entrerà da Dio senza di lui. Chi non riceve il nome di Dio, non entrerà nel regno di Dio”» Sim. IX 12, 7-8. E nella Similitudine VIII, 3, 2-3 a proposito dell’“angelo glorioso” (Sim.VII,1; Precetto V, 1,7) di statura colossale rispetto agli altri sei angeli e identificato nel Cristo, Erma dice: «E questa legge è il figlio di Dio, predicato fino ai confini della terra.

I popoli che si trovano sotto di esso sono quelli che hanno udito la predicazione e han creduto in lui. L’angelo grande e glorioso è Michele, colui che detiene il potere su questo popolo e lo governa. È lui che dà loro la legge ponendola nel cuore dei credenti. Egli esamina dunque quelli a cui ha dato la legge, per vedere se l’hanno conservata”». M. Erbetta, Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Vol. III, pag.267, 286, 287, 288, 295, 298, ed. Marietti, 1969. Anche gli ebioniti [8] sostenevano che Cristo fosse un angelo creato. Dice Epifanio: «Dicono poi [gli ebioniti] che lui [il Cristo] non fu generato da Dio Padre, ma fu creato come uno degli arcangeli» (Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, op. cit., vol. I1, pag.136).

Ecco dunque in quali acque i TdG sono andati a pescare la dottrina di Michele Arcangelo e del primo angelo creato! Ma dall’apostolo Paolo abbiamo la testimonianza ispirata - «A quale degli angeli egli ha mai detto: “tu sei mio figlio; io oggi ti ho generato”?» (Eb. 1:5, TNM) - che non  lascia alcun dubbio su come tale dottrina fosse da lui fortemente avversata. Perciò quando i primi Padri parlano del Logos di Dio definendolo “Dio”, essi intendono Dio in senso proprio e non improprio come insegnano i TdG, i nuovi eretici ariani. Siano pure liberi i testimoni di Geova di affrontare lo studio della Bibbia come meglio credono, di interpretare i suoi insegnamenti secondo le loro vedute personali, in maniera acritica, se così preferiscono, ma lascino stare i primi Padri e le loro credenze.

I Padri, anche se potremmo non essere completamente d’accordo con alcune loro espressioni, non sostengono certamente gli insegnamenti dei TdG ed è quindi disonestà intellettuale citarli fuori contesto, con frasi estrapolate per avallare la propria dottrina e ingannare così le persone impreparate. «Guai a quelli…che mettono le tenebre per la luce e la luce per le tenebre, quelli che mettono l’amaro per il dolce e il dolce per l’amaro!» (Isa. 5:20 TNM). Che Dio vi illumini!
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L’unione di entrambe le nature


Fra tutti i miracoli e le opere straordinarie compiute dal Figlio di Dio, ven’è una che trascende l’intelletto umano e che la fragilità dell’intelligenza mortale non riesce a concepire né a comprendere: il modo come, cioè, l’infinita potenza della maestà divina, vale a dire il Verbo del Padre, e la sapienza stessa di Dio, nella quale sono state create tutte le cose visibili e invisibili, si debba credere racchiusa nei limiti di quell’uomo che apparve in Giudea. La sapienza di Dio, pertanto, entrò nel ventre di una donna, nacque come un fanciullino ed emise i suoi vagiti, al pari degli altri bimbi quando piangono. Poi, sconvolto di fronte alla morte, giunse al punto di confessare: La mia anima è triste fino alla morte (Mt 26,38); e, infine, fu condannato a una morte ritenuta fra gli uomini delle più infamanti, benché, il terzo giorno, risorse.

Accade allora che, di fronte a taluni aspetti umani, simili alla nostra fragilità di mortali, e, nello stesso tempo, ad altri divini, di nessun’altra propri se non di una natura superiore e ineffabile; accade, dicevo, che la miseria dell’intelletto umano, sbalordita e sconcertata al cospetto di un fenomeno così straordinario, si trovi in imbarazzo e non sappia verso qual partito orientarsi, cosa concludere, dove dirigersi. Se, infatti, vogliamo riconoscere di trovarci dinanzi a Dio, ecco che, allora, ci imbattiamo nei suoi caratteri mortali; allorché, invece, lo riteniamo come un uomo, eccolo ritornare dai morti con tutto il suo corpo, dopo aver abbattuto la signoria della morte.

Dobbiamo perciò credere, con ogni timore e reverenza, che coesistano realmente, nella medesima persona, entrambe le nature. In tal modo, mentre nulla di indegno e disdicevole va riscontrato nella sostanza divina e ineffabile, dobbiamo astenerci, nello stesso tempo, dal ritenere come false e immaginarie le cose da lui compiute.

Parlare di queste cose alle orecchie umane, si sa, cercando di spiegarle con i discorsi, è cosa che trascende i limiti delle nostre capacità e dei nostri meriti, sia riguardo al pensiero che alle parole. Sono dell’avviso, d’altronde, che neppure i santi apostoli comprendano pienamente un simile mistero; la sua spiegazione, anzi, rimane forse misteriosa per tutte le potenze celesti.

Origene, I principi, 2, 6,2

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L’apostolo Giovanni non ci spiega come avvenne l’incarnazione del Logos nell’uomo Cristo Gesù. Tuttavia egli era consapevole che per Dio nulla è impossibile, questa è la verità. Giovanni accettò per fede il fatto che la Parola, che era Dio ed era presso Dio, ad un certo momento della storia, divenne carne e si fece uomo.

Non esiste ragionamento umano per spiegare questo evento che il cristiano accetta come un fatto storico ma che rimane un mistero. I TdG sorridono quando si usa questo termine: “Non esistono misteri, nella Bibbia tutto è chiaro”. A dispetto del testo greco che parla di “mistero”, convinti di essere illuminati da Dio, essi traducono, perché per loro è già tutto svelato, “sacro segreto”. Per loro esistono solo segreti che vengono svelati e non “misteri”. Pretendono di conoscere tutto su Dio e del suo essere. Allora invito questi “smemorati” a rinfrescarsi la memoria rileggendo quello che hanno scritto a pag. 107 del loro libro Ragioniamo: Dio «la nostra mente non può comprenderlo appieno». Anche sul “tempo” dicono che non può essere compreso “pienamente” e neppure lo “spazio”.

Se gran parte della creazione non può essere compresa dalla mente umana, come possono pretendere i TdG di conoscere ciò che avviene nel mondo soprannaturale del divino? Come possono pretendere di conoscere le operazioni divine come l’incarnazione del Logos? Possono essi rispondere con la spiegazione che il “corpo spirituale” del “portavoce” muore e la sua energia vitale viene trasferita dal cielo nella vergine? È questa la spiegazione della Bibbia? Troviamo qualcosa di simile negli insegnamenti dei Padri della chiesa primitiva?

Tutto ciò che è in Dio è eterno e onnipotente: il suo Logos, la sua Sapienza, lo Spirito Santo, l’Onniscienza... e la sapienza che la creazione manifesta è una sapienza creata dalla Sapienza increata dimorante in Dio. Così l’apostolo si esprime: «Poiché le perfezioni invisibili di lui, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente sin dalla fondazione del mondo, essendo intese per mezzo delle sue opere». - Rom. 1:20, Versione Riveduta, 1990. La conoscenza reciproca tra il Padre e il Figlio, secondo le stesse parole del Signore in Lc.10:22, è la conoscenza intima del Padre e del Figlio che sono reciprocamente immanenti e che né angeli né uomini possono capire. L’unità della quale parla Cristo è presa come modello per l’unità dei discepoli che hanno con il loro Maestro e Salvatore. - Giov. 10:15.

Il discorso del cristianesimo primitivo è un discorso complesso che non si può esaurire in poche righe. I grandi studiosi non hanno ancora concluso le loro ricerche nell'intento di comprendere sempre meglio gli scritti che ci sono pervenuti attraverso il travaglio della storia. Si consideri che la letteratura di quel tempo è scarsa e di difficile interpretazione in diversi punti e vi sono ampi vuoti da scritto a scritto e da autore ad autore. Nonostante l’indubbia serietà degli studi condotti, sia sotto il profilo storico che scientifico in questi ultimi decenni, molti sono ancora i problemi che gli specialisti in materia devono risolvere.

In tutta l’immensa produzione di letteratura sfornata dalla Società Torre di Guardia in più di 125 anni, pochissime sono le citazioni dedicate ai primi Padri, e si tratta per lo più di deboli, maldestri tentativi per indurre “le altre pecore” a credere che le credenze dei TdG giungano da lontano, nonostante la storia smentisca nella maniera più assoluta tali pretese. La Società farebbe bene, anziché cercare di spiegare in che cosa consistevano le credenze dei primi Padri, a lasciarli in pace e a continuare nella sua attività editoriale, opera nella quale dimostra di sapersela cavare molto meglio.
Vi auguro che Dio vi illumini, e pregherò per questo.
Saluti fraterni
  Adriano Baston
Potete contattare Adriano Baston anche scrivendo al seguente indirizzo e-mail:  
armandany@libero.it, specificando nel soggetto il nome del destinatario.

Note:

[1] Il greco legge: “Arkegon tes zoes”. Arkegon significa autore, fondatore, principale, capo e non “principale agente” o “principale condottiero”. Quindi la traduzione corretta è «Autore della vita» (Atti, 3:15).

[2] Le pagine indicate sono tratte da: Contro le eresie, Jaca Book, 1997.

[3] Citazioni tratte da Contro Prassea (UTET – Rossano, 1999, pagine 641-716). I commenti tra parentesi quadre sono miei.

[4]  Stromati, ed.Paoline, a cura di G.Pini, 1985.

[5] I suddetti passaggi sono tratti da Il Cristo, 1° vol., Lorenzo Valla a cura di A.Orbe e M.Simonetti 1995, pag.291-333, Mondadori. Il numero della pagine è indicato tra parentesi.

[6]  Città Nuova editrice, A.Quaquarelli, 1976, pagine 150-239.

[7]  Commento alla lettera ai Romani, vol. II, pag.7-9, Marietti, 1986.

[8] Ebioniti: (Ebraico ebyon, "poveri"), nome attribuito nel II e III secolo a un gruppo di cristiani di tendenza giudaizzante, le cui origini risalgono forse all'epoca della dispersione della Chiesa primitiva di Gerusalemme in seguito all'editto dell'imperatore Adriano nel 135, quando alcuni gruppi di ebrei cristiani sarebbero emigrati al di là del Giordano nella Perea, oggi in Giordania, rimanendo tagliati fuori dal corpo principale della Chiesa cristiana.

Fedeli alla tradizione dell'ebraismo farisaico, avrebbero negato anche la divinità di Cristo, mantenendo l'osservanza del sabato e considerando Paolo di Tarso un apostata per avere egli dichiarato la superiorità della dottrina di Cristo sulla legge mosaica. Sostenitori dell'avvento di un regno messianico a Gerusalemme, gli ebioniti avrebbero poi adottato una forma di pensiero composita, con elementi propri degli esseni e dello gnosticismo. ("Ebioniti," Enciclopedia Microsoft(R) Encarta(R) 98. (c) 1993-1997 Microsoft Corporation. Tutti i diritti riservati).



 
   
       
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Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo
dei Testimoni di Geova
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