I Testimoni di Geova -
      analisi critica di un culto
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TNM e profezie

La "PAROUSIA"


Il significato principale di questo termine è "essere presso", "essere vicino". La TNM lo traduce sempre con "presenza" volendo sottolineare un significato di "stato" mentre tutte le traduzioni bibliche scientificamente accurate traducono con "venuta" o "ritorno" per evidenziare meglio il significato di parousia inteso come "moto verso", "avvicinamento" e quindi come un qualcosa che si sta avvicinando e non che è già presente. Per questo motivo preferiscono tradurre con "venuta" anche se, come fanno notare giustamente i testimoni di Geova, questa seconda "venuta" non è uguale alla prima, questo però non autorizza a concludere che sia una cosa completamente diversa e tanto meno che si tratti di una "presenza invisibile".

Premessa storica


Per meglio comprendere come sia nata questa dottrina della "presenza invisibile" di Cristo dobbiamo ricordare che storicamente i TdG fanno parte di una corrente religiosa parallela al protestantesimo in base alla quale la Chiesa non è da riformare ma da rifondare. Caratteristiche comuni di questi gruppi cosiddetti "fondamentalisti", molto comuni negli Stati Uniti, sono l’idea della fine imminente del mondo basata su calcoli biblici e la lettura in chiave puramente letterale della Bibbia. Il gruppo da cui derivano i TdG (Studenti biblici) è uno dei tanti che dopo la delusione del 1844 profetizzato da William Miller cercarono altre date con nuovi calcoli. Nell’America del secolo scorso vi erano centinaia di gruppi cristiani che proponevano date per calcolare il ritorno di Cristo e l’inizio del suo Regno sulla terra.

Il fondatore degli Studenti Biblici fu Russell che inizialmente segue il movimento avventista e in seguito fonda la Società Torre di Guardia (1879). Egli profetizzò l’inizio del Regno di Cristo per il 1914 (partendo però dal 1799 come inizio degli "ultimi giorni"). Non venendo il Paradiso in terra ma la prima guerra mondiale, reinterpreta il 1914 così come fecero già gli Avventisti di Miller, affermando che la data era giusta ma non si riferiva alla venuta o ritorno visibile di Cristo ma all’inizio del "tempo della fine". Il 1914 indicherebbe, pertanto, la data in cui Cristo ha cominciato a regnare in cielo come "presenza invisibile" (mentre secondo gli Avventisti tale evento avrebbe avuto luogo nel 1844).

Al di là della facile "scappatoia" utilizzata prima dagli Avventisti e poi da Russell per "giustificare" il fallimento delle rispettive profezie, affermando che Cristo è già "presente" ma in modo "invisibile" (chi può dimostrare infatti il contrario?), tutta la cronologia biblica del Geovismo che porta alla data del 1914, è comunque storicamente infondata e pertanto priva, già a priori, di attendibilità.

Infatti per il Geovismo Dio avrebbe avuto un popolo ed un governo sulla terra fino al 607 a.C., essi ritengono sia la data della distruzione di Gerusalemme da parte dei Babilonesi. Aggiungendo 2520 anni in cui Daniele indicherebbe la durata dei "tempi dei gentili", in cui il mondo è stato in mano ai pagani, si arriva al 1914 data fondamentale per l’escatologia dei TdG, in cui Cristo ha cominciato ha regnare in cielo, come abbiamo già visto, in forma invisibile, mentre sulla terra è stato scagliato Satana. Dal 1914 siamo pertanto nel "tempo della fine" o nell’"ultima generazione" (cioè coloro che hanno vissuto gli avvenimenti del 1914 come spiega La Torre di Guardia del 15/9/69) indicata da Matteo 24:34 "non passerà questa generazione prima che tutto questo (= fine del mondo) accada". [Si veda su ciò la pagina: Questa generazione non passerà ndr].

In realtà è storicamente accertato che Gerusalemme fu distrutta non nel 607 a C., ma nel 587 (si può controllare in qualunque libro/enciclopedia di storia)! Geremia 52:12-13 dice che Gerusalemme fu distrutta nel 18° anno di Nabucodonosor: poiché egli andò al potere 83 anni prima di Dario (il che anche per i TdG avvenne nel 521) il 1° anno di Nabucodonosor è ovviamente il 604 a C., per cui non poté distruggere nel 607 Gerusalemme! L’infondatezza biblica e storica del 607, e quindi del 1914, pone in crisi l’intero edificio dottrinale e l’escatologia dei TdG che si fonda su questa data. [Si veda Quando venne distrutta Gerusalemme].

Presenza o venuta?


I discepoli di Gesù gli chiesero quale sarebbero stati i segni della sua parousìa [Matteo 24:3]. Logicamente, se parousia significa "venuta" allora questi segni devono precedere la parousia, mentre se significa "presenza invisibile" allora devono seguirla così come sostengono i TdG. Ma cosa "sostiene" invece Gesù? Al versetto 32 dello stesso capitolo Gesù dice "imparate dall’illustrazione": prima ci sono i segni che l’estate si sta avvicinando (il fico mette le foglie) e poi arriva l’estate. Cioè l’esatto contrario di quello che dicono i TdG. Gesù al versetto 36 aggiunge che "nessuno sa il giorno e l’ora", e sta parlando sempre della parousìa, come fanno allora i TdG a sapere quando è avvenuta?

Ai versetti successivi (37-39) Gesù conclude il discorso sulla parousìa dicendo che sarà come ai giorni di Noè quando avvenne il diluvio, e quindi una cosa improvvisa e ben visibile! Ma anche negli altri punti della Bibbia dove si parla della parousìa del Signore si comprende chiaramente che si tratta di un ritorno ben visibile: vedi Apocalisse 1:7 che riecheggia la frase detta da Gesù in Marco 13:26. Similmente dicono gli Atti degli Apostoli (1:11). I TdG si arrampicano sugli specchi sostenendo che si tratta di una apparizione "spirituale" e non reale. Ma qui né la grammatica, né i verbi, né il senso del discorso sostengono l’interpretazione geovista!

La TNM volendo tradurre parousìa sempre con presenza dimostra involontariamente la limitatezza di tale traduzione. Ad esempio in Matteo 26:50 Gesù dice a Giuda secondo la TNM: "amico, per quale scopo sei presente?", pur non costituendo un vero errore grammaticale è ovvio che la traduzione più corretta è "perché sei venuto (o ti sei avvicinato)?".

Altro esempio è in 2 Tessalonicesi 2:1 – Qui l’alterazione è più evidente: Paolo sta parlando della parousìa del Signore, raccomandando ai cristiani, come già aveva fatto Gesù, di non essere frettolosi o ansiosi e di non dare retta a quelli che dicono che Gesù è presente o sta per arrivare (chi fa venire in mente?). Ora la TNM traduce l’inizio del versetto con "presenza del Signore" e conclude in modo illogico ed incomprensibile dicendo di non essere scossi se qualcuno dice che il "giorno di Geova sia venuto". Ora le osservazioni da fare sono diverse: anzitutto Paolo sta parlando sempre della stessa cosa e cioè la parousìa di Cristo, mentre dalla TNM sembra che la parousia di Cristo sia qualcosa di diverso dal Giorno di Geova. Nel testo originale vi è sempre Kyrios per cui arbitrariamente, come nel resto del NT, i TdG mettono Signore all’inizio (riferito a Gesù) e Geova alla fine del versetto. Questo per giustificare appunto la dottrina della "presenza invisibile" di Gesù che precederebbe il Giorno di Geova cioè Armaghedon.

Ma se il "giorno di Geova" è l’Armaghedon descritto dai TdG, sarà ben difficile che passi inosservato! Perché quindi Paolo metterebbe in guardia i Cristiani dal non farsi ingannare da coloro che dicono che il giorno di Geova (Armaghedon) sia venuto? Sarebbe una raccomandazione inutile! Invece Paolo sta parlando sempre della parousìa di Gesù, e sta mettendo in guardia i Cristiani verso coloro che dicono che tale giorno sta per arrivare o è addirittura presente. Cioè proprio quello che sostengono i TdG! Il verbo greco tradotto con "sia venuto" è infatti epistemi che vuol dire in realtà "essere presente", "essere vicino o imminente".

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Il ritorno di Cristo sarà visibile?


A proposito della visibilità della parousìa, sono piuttosto interessanti le osservazioni che si trovano alle pp. 236, 327 del libro “Il segno degli ultimi giorni” di C. O. Jonsson e W. Herbst. Commentando il passo di Matteo 24:23-26 (“Allora se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, o: È là, non ci credete. Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l'ho predetto. 26 Se dunque vi diranno: Ecco, è nel deserto, non ci andate; o: È in casa, non ci credete” – gli autori osservano quanto segue, alle pp. 326, 327:

La parola greca che traduciamo «faranno» («faranno grandi portenti e miracoli») vale propriamente «daranno» (dósousîn) e non implica necessariamente l'idea del compiere qualcosa. Come hanno dimostrato, tra gli altri, i biblisti Barclay e Swete, il passo di Matteo 24:24 poggia su Deuteronomio 13:2-3 dove «proporre un segno o un prodigio» equivale al fare predizioni, non al compiere miracoli. (nota 52)

I falsi profeti, perciò, comprendono tutti coloro che attraverso i secoli hanno fatto profezie relative alla seconda venuta di Cristo, portando un'attenzione ossessiva all'elemento tempo e un interesse tutto particolare a fissare la data della venuta di Cristo e a definire gli eventi ad essa collegati, arrogandosi la facoltà e l'autorità di interpretare i segni dei tempi.

Per un altro verso ancora il passo di Matteo è interessante, perché ci illumina sui modi della venuta di Cristo. Mentre l'identità di colui che falsamente pretenda di essere Cristo non è identificabile senza difficoltà - c'è bisogno, infatti, dei seguaci che indichino dove egli è e chi egli è: «Ecco, il Cristo è qui, o: È là... Ecco, è nel deserto... o: E in casa» -, l'identità di Gesù al tempo della sua venuta e il luogo della sua comparsa non daranno adito a incertezze, ma saranno subito evidenti a tutti.

Per rendere comprensibile l'istantaneità dell'evento, Gesù ricorre all'immagine della folgore che «viene da oriente e brilla fino a occidente» (53) Come il lampo che «guizzando brilla da un capo all'altro del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno» (54).E non ci sarà bisogno che altri dica dov'è e chi sia e nessuno ha bisogno di «muoversi per seguirlo» (55).

Dunque, la parousìa di Cristo sarà istantanea, direttamente percepita e immediatamente appresa da ogni individuo sulla terra. Non c'è traccia, nel testo biblico, di una venuta segreta, né ci sono gli elementi necessari per sostenere una certa cronologia biblica o la teoria dei segni, secondo la quale Gesù sarebbe venuto e si sarebbe reso invisibilmente presente a partire da un dato anno. Tale figurazione della parousìa appare del tutto contrastante con la descrizione che lo stesso Gesù ne dà, presentandola come una rivelazione di palmare evidenza (56).

Note:

52 H.B. SWETE, Kommentary on Mark, ristampa del 1977 della 13' edizione, pubblicata dalle edizioni Kregel, Grand Rapids, Michingan, p. 310. A. Jones dal canto suo commenta: «Fare, cioè annunciare, profetizzare (cfr. Deuteronomio 13:1-3), non compiere» . (The Gospel oj St. Mark, Londra-Dublino, 1963, 1965, p. 197).

53 Matteo 24:27.

54 Luca 17:24.

55 Luca 17:23.

56 Non intendiamo dire, con questo, che nella sua venuta vedremo Cristo nell'alto del cielo come figura intesa, nel senso reale del termine, assiso su una nube anch'essa reale secondo l'interpretazione troppo letterale che taluni danno di Apocalisse 1:7. Noi ci sforziamo invece di mettere in luce il significato, a nostro parere più profondo, che la Bibbia dà alla parousìa di Cristo e alla sua apparizione gloriosa, il senso di evento che sarà improvvisamente visto e compreso da tutto il genere umano come un intervento divino, soprannaturale nelle vicende umane. Così non è necessario stabilire se quell'evento includa la visione di una vera immagine di Cristo su una vera nube.

A sostegno dell'idea che la parousìa di Cristo è invisibile al genere umano, la Società Torre di Guardia (cfr. Potete vivere per sempre su una terra paradisiaca, 1982, p. 142) cita le parole di Gesù in Giovanni 14:19: «Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più». Dando all'espressione avverbiale «non... più» (in greco oukéti), il senso assoluto di «mai più», la Società ritiene che Cristo sarà invisibile anche nel corso della sua apparizione futura. Ma questa interpretazione trova l'ostacolo di Giovanni 16,16: «Ancora un poco e non (ouketi) mi vedrete, e un po' ancora e mi vedrete» (cfr., inoltre, il v. 10) dove è chiarissimamente escluso da oukéti il significato di «mai più».

È logico quindi pensare che anche in Giovanni 14:19 l'avverbio abbia un significato ugualmente limitato, circoscritto al periodo dell'assenza di Cristo fino alla sua parousìa.


 
   
       
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Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo
dei Testimoni di Geova
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