I Testimoni di Geova -
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TNM e profezie

Filippesi 2:6


«...pur essendo di natura divina [Gesù], non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio» (CEI).
«...benché esistesse nella forma di Dio, non prese in considerazione una rapina, cioè che dovesse essere uguale a Dio» (TNM).

Qual è la traduzione corretta, dal punto di vista del contesto e della grammatica greca?

Ecco cosa dice la Società Torre di Guardia a p. 25 dell'opuscolo Dovreste credere nella Trinità?:

IN FILIPPESI 2:6 la versione protestante di Giovanni Diodati, del 1607, dice di Gesù: "Il quale, essendo in forma di Dio, non reputò rapina l'essere uguale a Dio". La versione cattolica a cura del Pontificio Istituto Biblico traduce: "Ora egli, sussistendo nella natura di Dio, non stimò un bene da non dover mai rinunziare lo stare alla pari con Dio". Traduzioni come queste sono usate per sostenere l'idea che Gesù era uguale a Dio. Ma notate come altre traduzioni rendono questo versetto:

1869: "il quale, essendo nella forma di Dio, non considerò l'uguaglianza con Dio come una cosa da afferrare". The New Testament, di G. R. Noyes.

1965: "Egli - vera natura divina! - non si fece mai uguale a Dio confidando in se stesso". Das Neue Testament, ed. riveduta, di Friedrich Pfäfflin.

1968: "il quale, pur essendo in forma di Dio, non ritenne come cosa da far propria avidamente l'essere uguale a Dio". La Bibbia Concordata.

1976: "Egli ebbe sempre la natura di Dio, ma non pensò di dover cercare con la forza di divenire uguale a Dio". Today's English Version.

1985: "Il quale, essendo in forma di Dio, non con siderò l'uguaglianza con Dio qualcosa da afferrare". The New Jerusalem Bible.

La spiegazione di questo verso è così evidente che anche la Torre di Guardia non può far finta di non sapere, infatti subito dopo scrive:

Secondo alcuni, però, anche queste traduzioni più accurate implicano che  (1) Gesù aveva già tale uguaglianza ma non intendeva aggrapparsi ad essa, o che (2) non aveva bisogno di afferrare tale uguaglianza perché già l'aveva.

Nella stessa pagina dell'opuscolo Trinità vengono citate le parole di uno studioso:

A proposito dell'originale greco di questo passo, Ralph Martin, in un commento alla lettera ai Filippesi, scrive: "È discutibile, però, se il senso del verbo possa slittare dal suo vero significato, 'afferrare', 'ghermire', a quello di 'tenere stretto'". (The Epistle of Paul to the Philippians, Londra 1959, p. 97).

Nel 1992 il libro di Ralph Martin è stato pubblicato anche in Italia col titoloL'Epistola di Paolo ai Filippesi, ed. G.B.U., per le citazioni farò riferimento a questa traduzione. Riportiamo alcune osservazioni di Ralph Martin su questo passo:

«Pur essendo in forma di Dio prende in considerazione il passato, l'esistenza pre-temporale del Signore come seconda persona della Trinità. La forma verbale hyparchòn tradotta essendo, non sempre ha questo significato, ma appare chiaro che esso è l'unico soddisfacente nel contesto» (p. 122).

Anche se Martin dice che tradurre il verbo in "tenere stretto" è discutibile (a suo parere), nel prosieguo del commento dichiara che entrambe le versioni sono linguisticamente possibili:

«Qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente è una possibile traduzione della parola chiave harpagmos, che può essere considerata all'attivo come in AV/KJV (e tutte le versioni it.) o al passivo come in RSV: "non considerò l'uguaglianza con Dio qualcosa da essere afferrato". Entrambe le versioni sono possibili linguisticamente» (p. 124).

O nell'uno o nell'altro caso, il testo ci insegna che Gesù o era uguale a Dio o era capace di divenire uguale a Dio.

«La parola chiave harpagmos è qui interpretata come possesso di un privilegio che apre la possibilità futura di vantaggio se solo il possessore lo sfrutterà a suo utile. Nel suo stato preesistente Cristo deteneva già come suo possesso la dignità unica della sua posizione nella Deità; di quella posizione vantaggiosa avrebbe potuto approfittare e, rivendicando i suoi diritti, afferrare la gloria e l'onore del riconoscimento del suo compito. A questo punto, da preincarnato fece la sua scelta: considerò l'appropriarsi dell'onore divino in questo modo una tentazione da vincere, e scelse piuttosto di essere proclamato uguale a Dio come "Signore",

Infine, ecco come Martin interpreta Filippesi 2:6:

«L'eterno Figlio di Dio, comunque, di fronte ad una tentazione parallela, rinunciò a ciò che era suo di diritto, e che sarebbe potuto diventare sua proprietà se l'avesse afferrato, cioè l'uguaglianza con Dio, e scelse invece la via dell'ubbidiente sofferenza come cammino verso la signoria» (p. 126).

Si noti che Martin, pur rendendo harpagmos allo stesso modo della Torre di Guardia, giunge però alla conclusione opposta!

Ancora dall'opuscolo Dovreste credere nella Trinità?, p. 25:

Un'altra opera afferma: «Non troviamo nessun passo in cui ἁρπάζω [harpàzo] o alcuno dei suoi derivati abbia il senso di 'tenere in possesso', 'ritenere'. Sembra invariabilmente significare 'afferrare', 'prendere con violenza'. Non è quindi consentito slittare dal vero significato di 'afferrare' a uno totalmente diverso come 'tenere stretto'». - The Expositor's Greek Testament, Grand Rapids 1967, pp. 436, 437.

Da quanto precede è evidente che alcuni traduttori forzano il senso delle parole per sostenere le loro tesi trinitarie. Lungi dal dire che Gesù riteneva appropriato essere uguale a Dio, il testo greco di Filippesi 2:6, se letto obiettivamente, indica proprio il contrario, cioè che Gesù non lo riteneva appropriato.

La Torre di Guardia vuole farci intendere che H.A.A. Kennedy, l'autore del "The Expositor's Greek Testament", interpretando 'harpàzo' come 'afferrare', affermi che Gesù sia una creatura. La valutazione di Kennedy del testo di Filippesi 2:6-10, ritrae chiaramente Gesù come essere divino (l'increato Dio). Parafrasando l'interpretazione di Kennedy: "Anche se Gesù, mentre camminava sulla terra sapeva di esistere prima di tutti i tempi come l'increato Dio, non costrinse violentemente (attivo harpàzo) gli uomini ad accettare la sua uguaglianza con Dio con l'uso dei suoi poteri divini. Invece, ha scelto il sentiero dell'umiltà che l'ha condotto primo alla morte, poi ad essere proclamato degno di adorazione dopo la risurrezione e l'esalazione da Dio di possedere un nome fra gli uomini uguale a Geova del Vecchio Testamento".

Rolf Furuli nel suo libro Il ruolo della teologia e del pregiudizio nella traduzione della Bibbia, a p. 287, afferma:

«...i dati lessicali e sintattici a disposizione non sono conclusivi, e l'opinione teologica del traduttore deve intervenire nel procedimento di traduzione. Cosa indica il contesto? Il versetto 9 in particolare pare fornire dati importati. Il verbo charizomai significa "accordare come atto di grazia". Poi c'è il verbo huperupso ("esaltare oltremodo"). Nella sua imponente grammatica Robertson dà al verbo un senso comparativo: Gesù cioè ricevette una posizione superiore a quella che aveva prima di venire sulla terra; quasi tutti gli esegeti però gli danno un senso superlativo, di posizione più alta in assoluto. In ogni caso il soggetto è Dio, che pose Gesù nella posizione più alta dopo la sua, e benignamente gli diede il nome esaltato. Chi è superiore può concedere graziosamente qualcosa a un sottoposto, ma  un coeguale no. Quindi, l'idea di grazia contenuta in charizomai indica chiaramente che Padre e Figlio non sono uguali».

Incominciamo col dire che Robertson non è d'accordo con Furuli:

«Qui soltanto nel N.T. a causa dell'umiliazione volontaria del Cristo Dio lo ha innalzato al di sopra o oltre la condizione di gloria che ha goduto prima dell'incarnazione. Che gloria Cristo ha dopo  l'Ascensione che non ha avuto prima in cielo? Cosa ha ripreso in cielo che lui non abbia portato? Chiaramente la sua umanità. È ritornato al cielo il Figlio dell'Uomo come pure il Figlio di Dio» - Robertson's Word Pictures of the New Testament (link)

Come potete vedere Robertson si aggrega a "quasi tutti gli esegeti".

Anche Ralph Martin, citato da Furuli, non è d'accordo con lui:

«L'onore ora datogli è espresso dal conferimento del nome, ossia quel carattere che egli aveva scelto di assumere non per diritto o rapina (l'harpagmos del v.6), ma per ubbidiente umiliazione. L'onore che rifiutò di arrogarsi gli viene ora conferito dal benigno compiacimento del Padre: gli ha dato (echarisato) ha questo senso di "concesso esercitando un favore" (charis)» - L'Epistola di Paolo ai Filippesi, p. 132.

Nell'opuscolo Dovreste credere nella Trinità?, pp. 25, 26, si legge ancora:

Il contesto (vv.3-5, 7, 8, PIB) inoltre aiuta a capire il versetto 6. Ai Filippesi fu data questa esortazione: "Ciascuno con umiltà stimi gli altri come superiori a sé". Paolo menziona quindi Cristo come il massimo esempio di questo atteggiamento mentale: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti, che furono in Cristo Gesù". Quali "sentimenti"? Il 'non reputare rapina l'essere uguale a Dio'? No, questo sarebbe stato l'esatto contrario di ciò che Paolo voleva illustrare! Gesù, invece, 'considerando il Padre superiore a se stesso', non cercò mai di 'afferrare l'uguaglianza con Dio', bensì "si abbassò, facendosi ubbidiente fino alla morte".

Ci sono due modi di vedere l'umiltà di Gesù nel passaggio: 1) Gesù era uguale a Dio, ma rinunciò ad essere tale. Questo è l'esempio di umiltà che noi dovremmo seguire. 2) Gesù era una creatura che non ha mai reclamato di essere uguale a Dio. Questo non è un esempio di umiltà ma di squilibrio mentale. Suggerire questo, viola il buonsenso ed il significato di umiltà! Il punto di vista anti-trinitario da lode a una creatura perché rimane nei limiti che sapeva di avere. Un servitore non è lodato perché non uccide il padrone per prendere il suo posto.

Se l'umiltà di Cristo, come dice il testo, è dato dal fatto che lui non tenti di divenire uguale a Dio, allora questo non è umiltà è follia! Gesù, la creatura, che non tentò di divenire uguale a Dio, non è più degno di elogio di quanto potremmo esserlo noi se neghiamo di essere uguali a Dio. Il punto di vista anti-trinitario è assurdo perché Gesù è lodato come umile per non aver tentato un colpo di stato contro l'autorità di Dio!

Francesco Pastore


 
   
       
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Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo
dei Testimoni di Geova
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