Le dottrine
Trasfusione imposta dai medici
Un episodio di cronaca che ha suscitato molte discussioniDal quotidiano Il Messaggero del 3 Febbraio 2004
I medici sfidano la legge e bloccano l'emorragia
a una testimone di Geova in pericolo di vita
di Marcella Smocovich
ROMA - Una casalinga di Anzio, Teresa Antonia Ussia di 79 anni, ha avuto il braccio destro maciullato dal camion tritarifiuti. Soccorsa, è stata portata in eliambulanza al Cto di Roma e sottoposta ad intervento chirurgico dall'équipe del dottor Angelo Angeli. La donna aveva perso molto sangue. Un biglietto cucito sul vestito della donna però diffidava i medici dal praticare trasfusioni, perché Teresa è una testimone di Geova. I medici hanno parlato con il magistrato. Poi hanno interpellato i parenti che hanno detto di non lasciarla morire. Contrari invece alcuni vicini testimoni di Geova che hanno raggiunto l'ospedale. Alla fine l'équipe medica ha deciso di salvarla sfidando la legge. E la trasfusione è stata fatta.ROMA - Il camion della spazzatura le tritura un braccio, operata d'urgenza rifiuta le trasfusioni perché testimone di Geova ma i medici del Cto di Roma decidono di praticargliele comunque, rischiando la denuncia.Teresa Antonia Ussia, testimone di Geova,79 anni, aveva sempre con sé il bigliettino che recitava tra l'altro: «Non accetto in nessuna circostanza, anche d'incoscienza, trasfusioni né derivati ematici ai sensi dell'articolo 32 della Costituzione e della legge 833 del 1978». Lo portava sempre attaccato ai vestiti. Messaggio con cui i medici che l'hanno operata ieri hanno dovuto fare i conti.Ieri mattina alle 9 la casalinga, vedova senza figli, residente in via Assunta, 55 ad Anzio, come tutti i giorni aveva annodato il sacchetto della spazzatura ed era uscita in fretta: aveva sentito passare il camion della raccolta dei rifiuti nella vicina via Indipendenza. L'ha rincorso ed ha gettato il sacchetto calcolando male la distanza. Il tritarifiuti le ha tritato anche il braccio destro, lasciandola a terra in un lago di sangue. Subito soccorsa dall'ambulanza, è arrivata prima in ospedale ad Anzio, poi è stata trasportata in elicottero al Cto, dove le sue condizioni sono apparse subito gravissime. Soprattutto a causa dell'emorragia.Ma il vero dramma si è scatenato quando i medici hanno verificato l'impossibilità di salvarle la vita con le almeno tre trasfusioni necessarie. Anche il magistrato di turno, chiamato per l'occasione, ha ricordato i rischi penali. L'operazione - eseguita dalla dottoressa Pataia, anestesista il dottor Ciaschi, dal chirurgo Angelo Angeli e dal professor Marsico - di sutura della ferita del braccio maciullato è durata oltre tre ore. Poi il dramma: vietato fare trasfusioni, indispensabili per salvare la vita all'anziana ormai in coma.«Non è possibile lasciarla morire così - ha subito dichiarato il dottor Angelo Angeli, del dipartimento chirurgia traumatologica d'urgenza del Cto - e anche i parenti in lacrime mi hanno detto di ignorare le sue volontà. Siamo medici, siamo qui per salvare le vite, non per lasciare la gente morire. Ma il rischio penale è grande».«Macché motivi religiosi. Che credo è quello che nega la vita? Non siamo nel Medioevo», ha detto uno dei familiari. Quindi i parenti si sono consultati e a parte un nipote che si è astenuto erano tutti d'accordo nel farla sottoporre alle trasfusioni. Anche un nipote della stessa religione. «Certo che devono farle la trasfusione - ha dichiarato in lacrime Assunta Ussia, una nipote - Non si può lasciarla morire così. E' assurdo».Poi fratelli e nipoti tutti dopo varie consultazioni hanno chiesto ai medici di procedere. «Alcuni testimoni di Geova hanno cercato di impedire la trasfusione in ospedale» - Ha raccontato sconvolta la nipote. Poi i familiari sono stati molto decisi. Supplicando, piangendo e pregando hanno chiesto ai medici di procedere: «Difenderò mia zia contro tutti, anche contro sé stessa» - ha detto la nipote Assunta.E per i sanitari ha prevalso il giuramento di Ippocrite, che obbliga ogni medico a salvare la vita e non a toglierla: la trasfusione è stata fatta. Ora Teresa Ussia è ancora in coma, la sua vita è in pericolo: ha perso troppo sangue. Se si salverà sarà per la volontà e il coraggio di medici che hanno sfidato la legge. Ma non si sa con quali conseguenze.
Un altro articolo sullo stesso episodio pubblicato sulla Gazzetta del Sud
Donna trasfusa contro volontà I medici: «Non era cosciente»
ROMA – La differenza sta in un numero: articolo 54 del codice penale, che dichiara non punibile chi è stato costretto ad intervenire per salvare una persona in stato di emergenza, cioè non cosciente, e di necessità. Un articolo al quale lunedì si sono appellati i chirurghi dell'ospedale romano Cto per operare una testimone di Geova, contraria per motivi religiosi alle trasfusioni di sangue.I medici dell'ospedale traumatologico hanno sfidato il rischio di denuncia convinti «che la legge è con noi», lunedì, quando si sono visti arrivare in eliambulanza Teresa Antonia U., 79 anni, in stato di incoscienza per la forte emorragia dopo che il braccio era stato triturato dal camion della spazzatura. Nella tasca del vestito della donna un biglietto che suonava come un diktat e che diffidava chiunque dal sottoporla a trasfusioni di sangue, pratica vietata tra i testimoni di Geova.Giuramento di Ippocrate alla mano ma anche codice di procedura penale hanno permesso ai chirurghi dell'ospedale di risolvere il caso di coscienza e di decidere velocemente di sottoporre la donna ad un intervento chirurgico. «La legge – spiega la direttrice sanitaria del Cto Daniela Ghirelli – stabilisce che i medici non sono punibili, anzì devono agire, nei casi di urgenza e di necessità per salvare la vita di una persona.Nel nostro caso, la donna è arrivata in ospedale in stato di incoscienza ed era in imminente pericolo di vita e quindi noi avevamo il dovere di intervenire. Sarebbe come se la donna di Milano arrivasse in stato di incoscienza in ospedale: se i medici ritengono che sia urgente e necessario operare, possono intervenire». (mercoledì 4 febbraio 2004)
Altro articolo de Il Messaggero
LA TRASFUSIONE FORZATA
«Denunciare il medico che ha salvato mia sorella? Follia»«Sono cattolica e penso che una vita va difesa comunque».I Testimoni di Geova: deciderà lei cosa fare una volta guaritadi ANTONELLA MOSCAROMA - Una parte della famiglia, quella del marito defunto, segue la fede dei Testimoni di Geova. La sua famiglia di origine, invece, si professa cattolica. E sulla interpretazione diversa di come salvare una vita in pericolo - quella della signora Teresa Antonia, Testimone di Geova convinta, 77 anni, di Anzio, un braccio maciullato dagli ingranaggi di un camion della spazzatura - si è innestata una scelta difficile.Che ha fatto scalpore. Perché per lei, sotto anestesia dopo l'intervento chirurgico che ha comportato l'amputazione del braccio destro, magistrato e medici di Roma hanno deciso di praticare una trasfusione di sangue. Mentre per la signora Maria, la donna di Milano che ha rifiutato l'amputazione di un arto anche se ciò potrebbe portarla alla morte, si parla di "rispetto delle sue idee".«I Testimoni di Geova - dice al telefono una sorella della signora Teresa - non devono dire nulla. Che vogliono? Io so solo che mia sorella si doveva salvare e che questo è stato fatto, come noi parenti volevamo. C'era una mia nipote in ospedale ed è stata lei che ha chiesto l'intervento del magistrato per decidere». «Io - aggiunge la signora - sono cattolica e penso che una vita umana vada comunque salvata, con qualsiasi mezzo».La trasfusione di sangue è invece aborrita dai Testimoni di Geova perché la Bibbia vieta di nutrirsi di sangue. E in merito alle trasfusioni si attengono, come spiegano, «al comando apostolico di astenersi dal sangue, non immettendolo in alcun modo nel proprio corpo». «Mia zia - dice la nipote Nazzarena Libernini, che segue la stessa religione - dopo l'incidente era cosciente.E' stata lei, mentre era stesa in strada, a chiedermi di portarle il biglietto dove è scritto che non accettava trasfusioni. Non ce l'aveva mica cucito addosso, come hanno detto». Quindi una scelta precisa di Teresa, per la nipote, che aveva capito che stava entrando in ospedale in condizioni gravi. Anche un altro nipote, Marcello Vannoli, anche se non condivide le idee della zia, dice che la sua volontà andava comunque rispettata.«Quella della sorella Teresa è una vicenda personale - dice Bruno Di Battista, addetto stampa dei Testimoni di Geova di Anzio e Nettuno - a va trattata come tale. Ci dispiace molto per l'incidente e non vogliamo fare polemica su quello che è accaduto in ospedale. Lei, comunque, aveva un tesserino che diceva chiaramente che non voleva trasfusioni. Nessuno ce lo impone, ma è una soluzione pratica al problema, come quelli di chi scrive di essere allergico o diabetico».Però sembra che i medici del CTO di Roma, l'ospedale dove è stata ricoverata la signora, siano stati denunciati. «E da chi? - ribatte la sorella - Hanno salvato una vita, con l'assenso del magistrato». «Noi non abbiamo denunciato nessuno - risponde Di Battista - non lo faremmo e non ne abbiamo alcun potere legale. Deciderà lei, una volta guarita, se è stata violata la sua volontà».
A proposito della «libera scelta personale» di rifiutare il sangue, ho inviato una lettera ad un quotidiano sardo che aveva riportato la seguente dichiarazione del portavoce della congregazione:
Il rifiuto delle trasfusioni di sangue, come impone la fede dei Testimoni di Geova, «è una libera scelta personale», spiega il portavoce di Anzio. «Ciò che è accaduto alla sorella Ussia - afferma Di Battista - è una vicenda personale. Noi non abbiamo denunciato i medici: sarà lei a decidere autonomamente cosa fare».
La mia lettera:
Buongiorno,Vorrei commentare queste parole del portavoce della congregazione. I Testimoni di Geova (TdG) 'dimenticano' di precisare che chi acconsente ad un'indispensabile trasfusione di sangue, senza poi pentirsi di questa sua scelta, viene a trovarsi di fatto escluso dall'organizzazione: il suo gesto verrà inteso infatti come una "dissociazione" dalla comunità.Ai "dissociati" verrà manifestato il più rigoroso ostracismo: nessun TdG rivolgerà loro la parola od il saluto e perfino i parenti ed i familiari che fanno parte del gruppo dovranno evitare i contatti non assolutamente necessari con loro. Dato che la vita sociale dei TdG si svolge prevalentemente all'interno della comunità, questo comportamento punitivo nei confronti di chi accetta una trasfusione di sangue è più che sufficiente a mettere in dubbio l'effettiva libertà di acconsentire o meno ad un simile trattamento: "Sei libero di accettare una trasfusione, ma se lo fai nessuno di noi ti rivolgerà più la parola, nessuno ti saluterà, ogni contatto con te verrà troncato e perfino i tuoi parenti ti eviteranno...".Questa è la 'libertà' di scelta che hanno i Testimoni.Vorrei anche ricordare che un tempo i TdG ritenevano anche la pratica della vaccinazione una violazione della legge di Dio: «La vaccinazione è una diretta violazione del patto eterno che Dio stipulò con Noè, dopo il Diluvio», si leggeva in una loro pubblicazione (g 4/2/1931 293).I Testimoni di Geova rifiutavano quindi di vaccinare se stessi ed i loro figli ed affrontavano anche processi e condanne pur di rimanere fedeli a questa "legge di Dio". Poi il loro Corpo Direttivo (CD) cambiò idea e le vaccinazioni vennero permesse: «Non ci sembra che [la vaccinazione] sia una violazione del patto eterno fatta con Noè» (w 53 445). Già, "non ci sembra": peccato che nel frattempo qualcuno ci avrà rimesso la vita o la salute...La stessa cosa è avvenuta con la proibizione dei trapianti, definiti fino al 1980 «cannibalismo, una pratica aborrita da ogni persona civile». Si sosteneva che «Geova Dio non diede agli uomini il permesso di cercar di perpetuare la propria vita mettendo cannibalisticamente nei loro corpi carne umana, sia masticandola che nella forma di interi organi o parti del corpo tolte da altri» (La Torre di Guardia del 15 marzo 1968, p. 190-192).I Testimoni rifiutarono quindi i trapianti e parecchi di loro ne subirono le conseguenze. Poi, improvvisamente, il CD cambiò idea ed i trapianti vennero permessi, con buona pace di chi nel frattempo era morto o, nel "migliore" dei casi, aveva perso la vista per non aver acconsentito ad un trapianto di cornea.Va anche ricordato che fino al 1978 i TdG rifiutavano qualsiasi emoderivato. Ecco per esempio cosa si leggeva nella rivista Svegliatevi! dell'8/8/1975 a proposito del Fattore VIII, impiegato per combattere l'emofilia: «Certo, i veri cristiani non impiegano questo pericoloso trattamento, dando ascolto al comando biblico di ‘astenersi dal sangue’». Quindi nel 1975 i "veri cristiani" non avrebbero acconsentito all'utilizzo del Fattore VIII nella cura dell'emofilia, anche in presenza di un'emorragia inarrestabile. Un emofiliaco che avesse accettato tale emoderivato sarebbe stato disassociato.Nel 1978 il CD ha cambiato nuovamente idea. L'accettazione del Fattore VIII è diventata da quella data una questione di coscienza che non comporta più l'espulsione per i "trasgressori"! (w78 1/11 p. 31).Ritengo che sia solo questione di tempo ed accadrà la stessa cosa anche con il divieto delle trasfusioni: alla fine diventerà una questione di coscienza, priva di conseguenze sanzionatorie nei confronti dei TdG che accetteranno il sangue.Ora chi accetta una trasfusione non è un "vero cristiano", come avveniva con il Fattore VIII prima del 1978, con le vaccinazioni fino al 1953 e con i trapianti fino al 1980; "domani" le cose potranno cambiare. Se nel frattempo qualcuno muore per ubbidire agli attuali 'intendimenti' del CD, non ci sono problemi: i Testimoni assicurano che queste vittime della loro "verità" verranno certamente resuscitate...Potete trovare molte altre informazioni su questi argomenti in queste pagine web: sangue e trasfusioni, TdG e trapianti.Saluti cordialiAchille Lorenzi
IL CASO DELLA DONNA CHE RIFIUTA DI FARSI AMPUTARE UN ARTO
LA VITA È UN DONO PREZIOSO CHE VA PROTETTO
Il caso della donna di Milano che preferisce morire anziché farsi amputare il piede in cancrena, e quello della signora di Roma, testimone di Geova, che rifiuta le trasfusioni di sangue, fanno discutere. La gente si chiede perché queste persone preferiscano morire anziché sottoporsi agli interventi medici.
Per quanto è possibile sapere, la signora di Milano rifiuta la protesi non solo per i disagi a cui sarebbe costretta dopo l’amputazione del piede – sarebbe un motivo insufficiente –, ma perché crede nella reincarnazione, e pensa che dopo la morte vivrà una vita migliore di quella prospettata dai medici dopo il loro intervento. Così pure la signora di Roma rifiuta le trasfusioni perché ritiene che siano proibite da Dio: accettare una trasfusione significherebbe vivere una vita fondata su una disobbedienza a Dio, il che per lei è inaccettabile.
Non sono ragioni futili, e possono fondare un serio giudizio di coscienza, anche se noi e il buonsenso della gente le riteniamo errate. Però contro la coscienza non si può andare, anche quando sbaglia. Neppure la società può costringere un paziente ad accettare le cure necessarie che in coscienza rifiuta, eccetto il caso in cui il malato non è capace di intendere e di volere, o quando la sua decisione di rifiutare le cure coinvolgerebbe la vita di altre persone, come nel caso di una madre che con la morte priverebbe i figli della sua presenza e delle sue cure, o nel caso di una persona che è portatrice di malattie contagiose, o in casi simili. L’unico modo umano per uscire da questa situazione è quello di correggere l’errore della coscienza. Questo può avvenire o attraverso la prevenzione, cioè nel tempo in cui nella persona si formano queste convinzioni; o con la persuasione, cioè creando degli anticorpi di tipo affettivo e razionale che facciano percepire la vita come una vita amata e come un dono prezioso per il proprio bene, e per quello delle persone che ci circondano.
Spesso le ragioni del cuore sono più convincenti di quelle della ragione. E il fatto di sentirsi amati o di sentire che il proprio amore è necessario per la vita di altri diventa un argomento che porta a rivedere le proprie posizioni e a superare perplessità e indecisioni. Nonostante la buona fede di queste persone, noi riteniamo che si tratti di una coscienza errata. Ciò risulta sia da una riflessione sul rapporto che Dio ha con noi, sia da una riflessione razionale sulla vita. Dio è il Dio della vita e non della morte. Dona alle sue creature la vita perché se ne servano per il proprio bene e quello dei fratelli. Ci affida gli uni agli altri, e ognuno con la sua vita diventa una ricchezza per la vita delle persone che incontra e con cui vive. Anche con la semplice ragione, la persona percepisce che non è stata lei a darsi la vita, ma l’ha ricevuta e dovrà rendere conto del come l’ha vissuta e spesa. Non solo: dovrà rendere conto anche di come l’ha protetta, curata, difesa, specie quando incontra la fatica e la sofferenza.
La virtù della fortezza fa parte del corredo normale della persona vera. Arrendersi di fronte alle difficoltà non significa vivere umanamente la propria vita, ma fuggire dalla vita. Solo nel caso in cui le cure non sono proporzionate perché inutili, costose, pesanti da sopportare e senza risultati apprezzabili, è possibile rifiutarle. Ma non certamente quando servono a tutelare la vita, anche se producono qualche menomazione. L’accanimento terapeutico non ha senso; mentre hanno senso le trasfusioni e le amputazioni per salvare la totalità dell’organismo umano.
Anche in questo caso si vede come il cristianesimo esprima una concezione equilibrata della vita umana. La vita è un dono prezioso che deve essere protetto, difeso, curato. Il giudizio sulla sua importanza e sulla sua conservazione deve essere formulato tenendo conto non solo della propria persona, ma anche delle persone con le quali viviamo. Allo stesso tempo non è il bene più prezioso che deve essere conservato persino quando si ritorce contro la persona. È il caso dell’accanimento terapeutico, in cui la conservazione della vita va contro la vita stessa.
Giordano Muraro
Articolo pubblicato sul quotidiano Il Trentino del 20/2/2004:
La libertà terapeutica
Ecco cosa dice la legge
La vicenda continua...
Le salva il braccio, lei lo denuncia
Un medico dell' ospedale cto romano è stato accusato di violenza privata da una donna a cui aveva applicato una trasfusione di sangue. Il legale della paziente, testimone di Geova, si è opposto all'archiviazione del caso
Roma, 22 settembre 2005 - A chi è capitato di essere salvato dall'intervento tempestivo di un medico, quell'uomo (o donna) in camice bianco deve essere sembrato un angelo in terra.
Ma non è questa la storia di un dipendente dell' ospedale romano Cto: il medico è stato infatti accusato dalla donna a cui ha salvato il braccio devastato da un tritarifiuti.
Ma la donna, Testimone di Geova, denunciò il chirurgo perché le era stata fatta una trasfusione di sangue e un' antitetanica pur in presenza del suo rifiuto scritto.
Resta dunque ancora in bilico la posizione giudiziaria del capo dell'equipe che nel febbraio dello scorso anno sottopose a intervento chirurgico Teresa Antonia U., 79 anni di Anzio, giunta in ospedale in stato di incoscienza dopo un grave trauma al braccio. Per la seconda volta la vicenda arriva davanti al gip di Roma che dovrà valutare prossimamente una richiesta di archiviazione del procedimento fatta dal pm romano Attilio Pisani nei confronti del chirurgo, indagato per violenza privata.
Già lo scorso anno, la procura capitolina aveva presentato una analoga richiesta, ma il giudice ritenne necessaria l'esecuzione di una consulenza medica, i cui risultati hanno adesso portato alla presentazione di una nuova richiesta chiusura del procedimento per carenza di elementi di accusa. Si attende ora la fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione definitiva.
La donna era giunta in eliambulanza in ospedale in stato di incoscienza per una forte emorragia. Il suo braccio, infatti, era stato triturato dal camion della spazzatura. Nella tasca del suo vestito, un biglietto che diffidava chiunque dal sottoporla a trasfusioni di sangue, pratica vietata tra i testimoni di Geova. Il chirurgo, però, decise d'intervenire appellandosi all'articolo 54 del codice penale, che dichiara ''non punibile'' chi è costretto ad intervenire per salvare una persona in stato di emergenza, cioè non cosciente, e di necessità.
Non appena guarita, il passo successivo della donna fu la presentazione di una denuncia, sulla quale adesso è stata presentata dal pm un richiesta di archiviazione e che nei prossimi mesi sarà all'attenzione del gip di Roma. Secondo quanto si è appreso, il legale della donna ha preannunciato opposizione a che il fascicolo sia mandato in archivio.
Aggiornamento (2 febbraio 2006)
Salva la vita a testimone di Geova, GUP manda medico a giudizio
La procura aveva chiesto per due volte l'archiviazione
Roma, 2 feb. (Apcom) - Violenza privata: questa l'accusa contestata ad un chirurgo dell'ospedale romano del Cto che aveva sottoposto ad antitetanica, senza il suo consenso, una testimone di Geova, al fine di evitare una infezione del braccio devastato da un tritarifiuti. Il procedimento è sorto per una denuncia della donna, Teresa Antonia U., 79 anni, di Anzio. La procura aveva più volte chiesto l'archiviazione ma il gup ha disposto un capo d'imputazione coatto.
L'intervento chirurgico risale al febbraio dello scorso anno, quando la signora Teresa è stata sottoposta ad una operazione d'urgenza.
Nell'ospedale la donna è arrivata con una eliambulanza, in stato di incoscienza per una forte emorragia. Il braccio destro era stato pressoché distrutto da un camion della spazzatura. In tasca aveva un biglietto che diffidava chiunque dal sottoporla a pratiche mediche vietate tra i testimoni di Geova.
Si decise comunque d'intervenire, in base all'articolo 54 del codice penale che dichiara "non punibile chi è costretto ad intervenire per salvare una persona in stato di emergenza, cioè non cosciente, e di necessità". Non appena guarita, Teresa Antonia U. denunciò il sanitario. Dopo due richieste di archiviazione e una consulenza super partes il giudice dell'udienza preliminare ha disposto il giudizio.