I Testimoni di Geova -
      analisi critica di un culto
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Le dottrine

Lettera inviata ad un quotidiano sardo

Matrimonio ed intolleranza


Testimoni di Geova prima persuadono poi costituiscono un comitato di giudici che punisce un'intera famiglia per aver assistito in chiesa al matrimonio misto del loro figlio ed espelle lo sposo dalla loro comunità
È successo in provincia di Cagliari in una congregazione di Testimoni di Geova. Chi rende pubblico questo avvenimento sono gli sposi amareggiati per ciò che è capitato al loro matrimonio e alla famiglia dello sposo.
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Dal momento in cui decidemmo di celebrare il matrimonio in chiesa con rito misto è stato un susseguirsi di eventi e decisioni da parte dei vertici dell'organizzazione, arrivando in conclusione a scoraggiare con fermezza la partecipazione ai parenti dello sposo, Testimoni di Geova, compresi i genitori, di presenziare alla cerimonia in chiesa e al ricevimento, pena la successiva perdita di privilegi, stima e rispetto da parte di tutta la comunità.

Grazie a questi metodi persuasivi alcuni parenti hanno accettato la prassi dei Testimoni di Geova, mentre i genitori dello sposo hanno preferito, per amore nei nostri confronti, essere presenti almeno al ricevimento per condividere la nostra gioia in quel giorno così importante.
Nonostante questo, l'accanimento nei nostri confronti è proseguito anche dopo il matrimonio. Io, lo sposo, sono stato subito contattato e dichiarato non più membro della congregazione con la condanna alla "morte civile" all'interno della comunità i cui componenti non mi rivolgono più la parola neanche per un semplicissimo saluto.

Mio padre per essere stato presente al ricevimento è stato giudicato colpevole di aver mangiato nello stesso locale dove erano presenti alcuni invitati cattolici ex Testimoni di Geova, perdendo la posizione di "anziano", titolo equivalente al sacerdote cattolico. La famiglia intera ha subito un danno morale in termini di considerazione e di stima che ancora oggi continua ad avere i suoi effetti.

Pensiamo non sia più concepibile in questa società costruita sui valori di tolleranza e rispetto per le diversità accettare un simile comportamento da parte di cittadini che professano di basarsi su principi cristiani.
Simona e Pierpaolo
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Questa lettera, pubblicata dal quotidiano L'Unione Sarda in data 20 maggio 2004 (si veda qui l'originale: link) ha provocato delle vivaci reazioni da parte di alcuni lettori. Ecco come ha replicato un Testimone di Geova:
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I testimoni di Geova giudicano e puniscono un’intera famiglia per aver assistito in chiesa al matrimonio misto del loro figlio, ed espellono lo sposo dalla comunità”. Chi non si indignerebbe per un comportamento così irragionevole e privo di amore? Peccato che tali affermazioni (riportate in una lettera pubblicata il 20 maggio, ndr) non siano esatte.
I Testimoni di Geova tengono in grande considerazione i principi biblici, e si sforzano di applicarli in ogni aspetto della propria vita. Coloro che si accostano alla loro fede, capiscono e riconoscono tale importanza e quando anch’essi vivranno in base a tali norme cristiane faranno parte di questo grande popolo.

Al contrario, quando qualcuno dovesse decidere di non seguire più queste elevate norme cristiane, viene aiutato dai propri fratelli a rivedere la sua posizione. Ma se volesse persistere nelle sue idee è liberissimo di farlo, e di allontanarsi dai Testimoni. Questo è probabilmente avvenuto a questa coppia di sposi: hanno fatto la loro scelta, che i genitori e alcuni parenti non hanno condiviso, ma sicuramente rispettato. Fare apparire i Testimoni come inquisitori medioevali che giudicano colpevole il genitore di aver pranzato insieme a persone di religione cattolica è ridicolo. Sono un testimone di Geova e spesso per il mio lavoro viaggio in tanti luoghi del pianeta. Qualche anno fa girai due documentari per la Rai in Amazzonia.

La nostra guida era un missionario cattolico della Comunità dei Marianiti. Non solo consumammo i pasti insieme, ma dormimmo sotto le stesse piante giganti della foresta pluviale e facemmo bellissime conversazioni circa le meraviglie della creazione.

Vorrei concludere citando l’ultima parte della lettera di Simona e Pierpaolo: «Pensiamo non sia più concepibile in questa società, costruita sui valori di tolleranza e rispetto per le diversità, accettare un simile comportamento da parte dei cittadini che professano di basarsi sui principi cristiani». Credo che i lettori sappiano distinguere se gli intolleranti siano i Testimoni di Geova, che amano profondamente il loro prossimo, e sono sempre pronti a collaborare per migliorare le condizioni di vita delle persone. Oppure se intollerante sia chi, essendosi allontanato da loro, non può più godere del calore fraterno di questo popolo.
Davide Mocci
Cagliari
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Si noti con quanta deliberata astuzia questo TdG ha cambiato le parole di Simona e Pierpaolo. La coppia di sposi aveva scritto:

«Mio padre, per essere stato presente al ricevimento, è stato giudicato colpevole di aver mangiato nello stesso locale dove erano presenti alcuni invitati cattolici, ex Testimoni di Geova, perdendo la posizione di “anziano”, titolo equivalente al sacerdote cattolico».

Il TdG invece scrive:

«Fare apparire i Testimoni come inquisitori medioevali che giudicano colpevole il genitore di aver pranzato insieme a persone di religione cattolica è ridicolo».

Certamente questo TdG ha capito quale era la "colpa" del padre di Pierpaolo: aver mangiato con degli ex TdG. Questo era scritto molto chiaramente nella lettera di Simona e Pierpaolo e non si poteva quindi in alcun modo equivocare. Il Testimone di Geova ha intenzionalmente cambiato le carte in tavola per far credere che quello che è stato scritto siano le solite invenzioni degli "oppositori". Questo astuto modo di argomentare è tipico di molti TdG.

Questa è una lettera che il quotidiano sardo ha pubblicato lo stesso giorno, accanto a quella di Davide Mocci.
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Ho letto la lettera di Pierpaolo e Simona e scrivo per esprimere loro la mia solidarietà. Posso confermare, vivendo una situazione analoga, che i Testimoni di Geova si comportano proprio come scritto da questa coppia. Io sono stato espulso nel 1998, dopo aver scritto una lettera nella quale esprimevo un moderato dissenso nei confronti di alcuni insegnamenti di questa organizzazione.

In seguito alla mia espulsione, tutti i Testimoni hanno interrotto ogni rapporto con me, in ossequio a direttive secondo cui gli ex membri devono essere completamente evitati. Questo ostracismo viene esteso a quasi tutti i rapporti sociali e familiari, come si legge in varie pubblicazioni dei Testimoni di Geova. Solo con i coniugi e con i figli minorenni che vivono sotto lo stesso tetto è consentito continuare ad avere i normali rapporti, ma con forti limitazioni. Un ex membro non può parlare con la moglie Testimone di Geova di argomenti religiosi, e nemmeno pregare con lei. Se insistesse per cercare di farle cambiare idea, lei sarebbe autorizzata, dal punto di vista della Congregazione, a chiedere la separazione, dato che il marito costituirebbe una minaccia per la sua «salute spirituale».

Non è consentito parlare, frequentare o socializzare con il resto dei parenti se non per motivi indispensabili: «Se qualcuno persiste in un’associazione che non è assolutamente necessaria con un familiare disassociato che vive fuori di casa, il comitato [giudiziario] dovrebbe amorevolmente aiutarlo a capire i princìpi inerenti e a conformarsi ai consigli biblici». Se un “disassociato” non abita nella stessa casa di un Testimone di Geova, non lo dovremmo «mai ricevere nella nostra casa né rivolgergli un saluto». L’insistenza a trascurare il comando biblico di “cessar di mischiarci in compagnia” di tale persona può condurre alla “disassociazione”». (km 2/71).

Si comportano così con tutti coloro che, per qualsiasi motivo, lasciano il gruppo. Se un fedele, dopo attenta riflessione, decide di diventare cattolico, i Testimoni lo considereranno un apostata e gli applicheranno le parole della Bibbia: «Il cane è ritornato al suo vomito e la scrofa, dopo che era stata lavata, a rivoltarsi nel fango». E questo indipendentemente dalla sua buona condotta: solo per aver lasciato i Testimoni sarà ostracizzato.
Achille Lorenzi
Tione di Trento
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Le lettere originali


Cliccare per ingrandire

Ed ecco la risposta di Simona e Pier Paolo all'intervento di questo Testimone di Geova:
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I TESTIMONI DI GEOVA E GLI EX
I fatti rivelano chi è intollerante

Rispondo a Davide Mocci, testimone di Geova di Cagliari, che su L’Unione di sabato ci ha chiamato in causa in quanto autori della lettera "Matrimonio e intolleranza" pubblicata il 20 maggio. Non si può, come fa Mocci, sostenere che sia «inesatto » che Pier Paolo sia stato espulso e suo padre abbia perso i privilegi di "anziano" all’interno della comunità: è esattamente quello che è successo. Tutt’al più il Mocci dovrebbe precisare che, benché le cose da noi scritte siano esatte, i testimoni di Geova tuttavia le accettano e le considerano coerenti con i principi biblici, cosa per tutti gli altri assai discutibile.

Il Mocci continua affermando che «far apparire i testimoni come inquisitori medievali che giudicano colpevole il genitore per aver pranzato insieme a persone di religione cattolica è ridicolo». Mocci cambia le parole da noi scritte, cambiando con esse l’intero senso del discorso: nella nostra lettera si parlava del fatto che ai testimoni non è permesso mangiare con cattolici extestimoni. Che si possa mangiare con i cattolici nessuno lo nega, ma il divieto riguarda gli ex. Mocci poi si riferisce a Pier Paolo definendolo «intollerante» (come sono bravi a rigirare la frittata) perché allontanatosi dal culto dei testimoni. Ai lettori le conclusioni.

Infine, Mocci chiude asserendo che i testimoni amano profondamente il loro prossimo: ma allora come possono negare il saluto a chi decide liberamente di allontanarsi? Mocci dice che chiunque vuole può allontanarsi, ma omette di dire che ne subirà le conseguenze. Come possono isolare l’ex associato, non frequentarlo, condannarlo alla morte civile, non rivolgergli la parola? Forse perché chi si allontana non fa più parte del "prossimo"? E perché allora considerare tutti i non testimoni dispregiativamente come «gente del mondo» e gli appartenenti alle altre religioni come appartenenti a «Babilonia la Grande»? Si dica allora: i testimoni amano profondamente i testimoni stessi. Anche in questo caso, lasciamo ai lettori le considerazioni del caso.
SIMONA E PIER PAOLO
Cagliari
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La lettera originale: link

Contro le ideologie che calpestano l’uomo

L’amore che va oltre le barriere

Altra lettera di un TdG, pubblicata il 10 giugno dall'Unione Sarda
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Ho seguito il simpatico scambio di battute sul caso “matrimonio in Chiesa e Testimoni di Geova”. Posso dire la mia ed essere pubblicato come tutti gli altri? Lo sposo lamenta d’essere stato scomunicato per il suo matrimonio cattolico, però omette di dire che quando divenne testimone di Geova era ben cosciente che andarsi a sposare come cattolico avrebbe comportato questo.

Ora non capisco perché si lamenta. Lui è libero di diventare cattolico, buddista o raeliano, ma i testimoni di Geova sono altrettanto liberi di scomunicarlo, o no? C’è bisogno di tirare in ballo una terminologia da guerra di religione? Lamenta che ora non lo salutano neppure. Io gli dico di essere un po’ più virile nell'accettare le conseguenze, che già conosceva e aveva accettato, di una sua eventuale scomunica. Non capisco tutte queste lagne pubbliche.

Se gli fosse interessato rimanere tra i Testimoni di Geova, avrebbe potuto sposarsi in Comune anche con una donna di altra confessione e non ci sarebbe stato nessun provvedimento. Libertà di religione significa anche stabilirsi liberamente regole per mantenere i caratteri distintivi di una fede che è, per definizione, assoluta. Allora non ha torto Davide Mocci quando definisce «intollerante» lo sposo, visto che «non tollera» che i Testimoni di Geova siano liberi di applicare, a torto o a ragione, ciò che credono giusto.

Oppure abbia il coraggio e la coerenza di definire «intolleranti» anche i cristiani degli albori, i Santi che oggi costellano i nostri calendari, per intenderci, i quali praticavano lo stesso “ostracismo” nei confronti di chi veniva scomunicato, motivati dallo stesso corollario di scritti neotestamentari che motiva oggi i Testimoni di Geova. La modernità relativista questo non lo capisce e non lo accetta. E allora? Introduciamo l’obbligo di salutare e di mangiare a tavola anche con chi, per una qualche ragione, non si desidera? Non cadiamo nel ridicolo. Che significa poi che gli hanno imposto la «morte civica»?
OMAR OREFICE
Roma
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L'interessante risposta della giornalista Daniela Pinna:
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Quella che lei chiama “lagna pubblica”, gentile lettore, è la legittima, sacrosanta, denuncia di un comportamento che il comune sentire giudica, nel Ventunesimo secolo, inaccettabile. Certamente qualsiasi organizzazione, religiosa o politica, è libera di darsi le regole che ritiene più opportune, sempre che non contrastino con le leggi della Repubblica. Ed è libera di espellere i membri dissenzienti. Ma questi ultimi sono altrettanto liberi di esporre il proprio caso sui giornali e ricevere la simpatia di una comunità ben più ampia di quella che li ha dichiarati indesiderabili.

Non entro nel merito della sua interpretazione del Nuovo Testamento, letteralista e noncurante del contesto storico-sociale. Confesso la mia diffidenza verso qualunque credo o ideologia che calpesti (in nome di un paradiso o di una rivoluzione) gli uomini e le donne o i loro affetti. Simona, Pierpaolo e le loro famiglie, uniti nonostante una guerra di religione che non hanno dichiarato loro, mi sembrano figli di uno spirito superiore. Quello che spinge Antigone a violare la legge per dare degna sepoltura al fratello che ha tradito la città; quello che spinge il buon samaritano a soccorrere il nemico ferito, il papa a pregare davanti al muro del pianto.
DANIELA PINNA
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Omar Orefice, a quanto pare, non ha ancora capito in che consiste lo spirito del cristianesimo. Certamente, infatti, l'“ostracismo” dei TdG, che condanna alla “morte sociale” chi lascia per qualsiasi motivo il gruppo, non ha nulla a che vedere con gli insegnamenti e l'esempio di Gesù. Per comprendere meglio il punto - come è stato osservato in un'altra pagina di questo sito (link) - si può riflettere su «come venivano trattate dai Farisei le persone delle nazioni (gentili) e gli esattori di tasse (pubblicani) al tempo di Cristo. Non erano considerati persone “rispettabili”, aventi gli stessi diritti a tutti gli effetti degli israeliti ortodossi.

Questo però non significa che fosse proibito rivolgere loro la parola, il saluto o avere qualsiasi genere di rapporto sociale, come fanno i TdG con i disassociati. Il contesto biblico non giustifica un simile atteggiamento e la storia non attesta che questa fosse allora la prassi in vigore, nemmeno secondo le rigide regole rabbiniche. Basti pensare che Gesù scelse come suo apostolo Matteo Levi che era un esattore di tasse (Matteo 9:9; si noti che Matteo stava svolgendo il suo disprezzato lavoro quando Gesù lo chiamò).

Anche Zaccheo era «capo esattore di tasse», eppure Gesù non esitò a parlare con lui e a voler essere ospitato in casa sua (Luca 19:2-6)». Gesù venne criticato per questo ma Lui fece capire che le persone in quanto tali dovevano essere trattate in maniera rispettosa, compassionevole e amorevole. Di sicuro quindi, anche sotto questo aspetto, i “cristiani degli albori” seguivano l'esempio del Maestro e non erano certo peggiori dei Farisei!

Un commento alla lettera di Orefice pubblicato il 24 giugno:
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I PRIMI CRISTIANI E L'OSTRACISMO
Un'interpretazione senza riscontri

Il lettore Omar Orefice (autore della lettera pubblicata il 10 giugno col titolo "L'amore che va oltre le barriere") afferma un principio molto giusto, cioè che siamo in un paese libero e che ognuno deve essere libero di scegliere liberamente in materia di religione (compresi i testimoni di Geova). Ma fa un po' confusione sui fatti. Non risulta che lo sposo di cui parliamo sia diventato cattolico. Non si è neppure sposato come cattolico, bensì con il rito previsto dalla Chiesa per il matrimonio fra un cattolico e un appartenente a fede diversa che intende restare tale. È vero che i testimoni di Geova possono imporre ai loro aderenti il divieto di conversare/pranzare/fare un pic nic con un ex associato e di «considerarlo spiritualmente morto».

Sono liberi anche di espellere chiunque viola queste regole. Non vedo però perché si debbano vergognare di ammetterlo pubblicamente. Come ogni libertà, anche la loro libertà incontra l'unico limite nelle leggi dello Stato e nei diritti fondamentali dell'uomo. Compreso quello di sposarsi, senza per questo perdere l'affetto, il rispetto, la frequentazione ed il saluto di parenti, genitori e amici. Infine che i «cristiani degli albori» praticassero questo stesso ostracismo verso coloro che trasgredivano (con o senza pentimento) una qualsiasi regola (grave o veniale) non è un dato storico.

È un'opinione che deriva da un'interpretazione dei testi neotestamentari, sostenuta oggi esclusivamente, o quasi, dai testimoni di Geova. E non è condivisa dalla quasi totalità dei cristiani (di varie confessioni, cattolici, protestanti, ortodossi) né dagli storici.
Lettera firmata
Milano
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La lettera originale: link


 
   
       
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Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo
dei Testimoni di Geova
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