Testimoni di Geova
     analisi critica di un culto
Testimoni di Geova
     analisi critica di un culto
Testimoni di Geova
     analisi critica di un culto
Testimoni di Geova
     analisi critica di un culto
Vai ai contenuti

La storia di Charlie


Non siamo mai stati una famiglia molto religiosa, al massimo si andava in chiesa la domenica, ma neanche troppo spesso. Cattolici medi, direi - e ben poco praticanti. Così mi sembrò strano che, quando io avevo all'incirca 8 anni, mia mamma iniziasse uno studio biblico a domicilio con i Testimoni di Geova. Veniva una signora di mezza età accompagnata da un'altra sorella di fede. Durante il primo periodo io non prestai molta attenzione a questo via vai di gente, alla mia età pensavo solo a giocare.

Ma non durò molto perché ben presto qualcuno (probabilmente la signora che faceva lo studio a mia mamma) ebbe la "brillante" idea di iniziare uno studio anche con me e il mio fratellino. [Certo, col senno di poi mi dico che dopotutto sul rapportino di fine mese che tutti i Testimoni di Geova devono compilare, quei 3 studi di libro dovevano proprio farci un figurone].

Poiché eravamo due bambini, ovviamente il nostro studio era su "Il mio libro dei racconti biblici". All'inizio sembrava divertente, per noi bambini, una cosa nuova, un libro con tante figure colorate. Ovviamente, come ogni buon gioco, avrebbe dovuto durare poco, in realtà la cadenza settimanale dello studio iniziava a farsi pesante. Né a me, né a mio fratello piaceva starcene buoni buoni a seguire la monotonia che perdurava per tutto il tempo dello studio. Lettura paragrafo, domande, risposte da ricercare nel testo e una voglia matta di finire alla svelta per uscire a giocare. Purtroppo non si trattava solo di questo, infatti dopo non molto tempo mia mamma fu invitata a partecipare alle adunanze per "continuare con il progresso spirituale".

Quando mettemmo piede per la prima volta alla sala del regno, fummo accolti calorosamente da molti fratelli. Ma non fu questa, la prima cosa che notai. La prima in assoluto era che tutti i maschietti indossavano i pantaloni e la cravatta, mentre le bambine vestivano con la gonna o dei vestitini. Io ero una bambina, ma per me non esistevano vestiti femminili, li odiavo con tutta la mia persona, quindi all'adunanza le prime volte andai con i miei bellissimi pantaloncini di velluto. Immagino che qualcuno, in seguito, abbia fatto notare a mia mamma che io, essendo una bambina, dovevo mettermi la gonna. Così, non solo mi obbligarono ad andare all'adunanza, ma dovevo pure andarci con un abbigliamento di cui mi vergognavo da morire. Iniziai a capire cosa voleva dire la parola umiliazione.

Purtroppo tra i Testimoni di Geova non si dà molto spazio alla personalità, c'è un rigido conformismo per quanto riguarda il modo di vestire, il taglio dei capelli, il trucco, barba e baffi, qualsiasi cosa viene attentamente osservata, sottoposta a critica e se non è ritenuta conforme, scatta il "consiglio amorevole", volto a renderti il più possibile uguale agli altri.

Quando iniziò il periodo adolescenziale forse non avevo ben chiaro cosa volevo essere da grande, ma avevo sicuramente chiaro cosa non volevo essere: una Testimone di Geova. Eppure, per vari motivi che spiegherò tra poco, continuai lo studio e qualche volta uscii in predicazione porta a porta. Dico "qualche volta" perché odiavo uscire in predicazione e quindi ci andai veramente poco. Mi sembrava di essere un automa che aveva studiato a memoria la parte e non faceva altro che  suonare il campanello e recitare. Non ho dubbi sul fatto che le mie "presentazioni" non avessero la minima presa sull'ascoltatore: si doveva capire benissimo che non credevo neanche ad una parola di quello che dicevo.

Ma passiamo ai motivi per cui non lasciai la congregazione:
- innanzitutto non volevo deludere mia mamma, lei sembrava così sinceramente convinta... pensavo che le avrei spezzato il cuore, se avessi smesso di fare progresso spirituale (ma quale progresso, poi??)
- all'interno della congregazione ci eravamo abbastanza ambientati. Non avendo amici "nel mondo" era stato facile trovarne tra i  giovani fratelli e sorelle. In definitiva, mi sarebbe dispiaciuto lasciarli.
- sicuramente però il motivo principale era un altro... ben sapendo cosa ne pensava l'organizzazione dell'omosessualità, mi è stato molto difficile ammetterlo a me stessa, ma avevo una cotta per una ragazza mia coetanea, figlia di un anziano (avevamo 17 anni). Ho rimosso molte cose di quel periodo.

Ma ricordo ancora bene la frustrazione che provavo quando mi sentivo dentro il cuore scoppiare d'amore per questa ragazza e nello stesso tempo sapevo che non avrei mai potuto dichiarare il mio amore. La mia famiglia e me al pubblico ludibrio, la parola "lesbica" che avrebbe serpeggiato per sempre al mio passaggio, il rifiuto da parte degli adepti più bigotti, i tentativi di "guarigione" (visto che l'omosessualità è considerata al pari di una malattia, tra i Testimoni di Geova), il sospetto che io potessi "provarci" con una figlia o una sorella o una moglie... cose che non mi avrebbero mai abbandonato. Si, perché se è vero che i panni sporchi si lavano in famiglia, è anche vero un pettegolezzo fa il giro della congregazione in poco, pochissimo tempo.

Mi sentivo completamente fuori luogo. Da una parte sentivo di dover restare nella congregazione e cercare di migliorarmi, visto che non ero certo un bell'esempio. Cercavo di non mancare alle adunanze solo perché sapevo che l'avrei vista, anche solo per potermi sedere a fianco a lei per quelle due ore di adunanza. Ma uscivo ben poco in servizio, al massimo una volta alla settimana e non commentavo mai alle adunanze, vuoi per timidezza, vuoi per pigrizia. Dall'altra parte avrei voluto essere una persona "del mondo", così non avrei dovuto sentire la vergogna del mio sentimento verso una persona dello stesso sesso. Nel frattempo iniziarono notevoli pressione da parte di diversi anziani della congregazione affinché mi battezzassi. I miei amici lo erano già tutti e io ero la pecora nera del gruppo. Così, pur non volendolo veramente, espressi il desiderio di battezzarmi alla seguente assemblea di circoscrizione.

Fu proprio in quel periodo che successe un fatto abbastanza grave. Io e una sorella scoprimmo che la ragazza che mi piaceva, figlia di un anziano e già battezzata, praticava il taccheggio all'interno dei supermercati. Io non avevo parole, sapevo che era sbagliato, ma visti i sentimenti che provavo per lei non avrei mai avuto coraggio di denunciarla agli anziani e nemmeno mi sognavo di farlo. Di altra opinione era la sorella che aveva visto con me uno dei furti... proprio lei che si dichiarava la sua migliore amica, fu proprio lei che la denunciò agli anziani. Ma io non venni a sapere niente fino a quando uno degli anziani, incaricato della mia preparazione pre-battesimo, mi fece un bel discorsetto: "....lo sai che il battesimo è un passo importante ed è necessario farlo con la purezza di cuore... c'è forse qualcosa che vuoi dirmi, prima di abbracciare Geova?...". Io risposi che non avevo niente da dire.

Ma lui sapeva, sapeva tutto della storia dei furtarelli e me lo disse chiaramente. Ricordo che mi aveva dato molto fastidio il fatto che mi avesse teso una domanda trabocchetto, aspettando la mia risposta per potermi "bastonare". Dopo questa storia, quella ragazza venne ripresa pubblicamente e intorno a lei si fece terra bruciata. Era da considerarsi una poco di buono, una persona non spirituale e pertanto evitata. Tutti gli "amici" improvvisamente sparirono. E tutti i miei tentativi di starle vicino venivano aspramente criticati. Mi sentivo in mezzo a due fuochi. Poi lei si trasferì in un'altra città. E io mi battezzai.
Si dice spesso che il battesimo non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza per il progresso spirituale. Beh, per me non fu così. A meno di un anno dal battesimo iniziai a marinare spesso le adunanze, a non leggere più le pubblicazioni.

Per mesi continuai a fare il cosiddetto rapporto di servizio, annotando ore di servizio che neanche avevo fatto, poi smisi pure di fare questo, tanto si capiva benissimo che erano bugie. Ovviamente ogni Testimone che abbia un declino spirituale di questo tipo, non può esimersi dalle "visite pastorali", cioè visite da parte di anziani della congregazione volte a capire cosa non va e a proporre magari un nuovo studio biblico. Per un paio di mesi, a cadenza settimanale, un anziano della congregazione si premurò di farmi visita. Poi finalmente capì che non ne volevo sapere niente e smise di venire a trovarmi. Da allora non ho più messo piede alla sala del regno. Sto bene, ho dei nuovi amici, ho ripreso gli studi che tra i TdG vengono spesso messi in secondo piano per dare priorità a cose più importanti, come il servizio di campo.

Cosa mi ha lasciato questa esperienza? Ho capito cosa significa essere sottomessi, cosa significa subire un sopruso e doverlo sopportare "per la verità". Ho capito cosa significa non avere una personalità e cosa vuol dire rinnegare se stessi. Ho ben chiaro qual è il posto delle donne all'interno di un'organizzazione di tipo patriarcale. Ma soprattutto, non ho dubbi sul significato di gregge, sul perché gli adepti vengono chiamati pecore. Perché hanno lo stesso atteggiamento passivo verso ciò che viene proposto - o meglio imposto - dall'alto dei vertici dell'organizzazione.


Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova
Click sull'immagine per
accedere alla pubblicazione
 
   
       
 
   
       
24/04/2021
Torna ai contenuti